IL CIPOLLA
Lo chiamavano Il “Cipolla” per via della sua faccetta rustica, tonda e simpatica, e per la scia che lasciava dietro di sé, nella quale l’odore aspro del vino rosso e quello più aromatico del fieno si contendevano la prevalenza.
Del resto, era naturale che gli si appiccicassero addosso gli odori degli elementi tra cui viveva. Infatti dormiva in un fienile e la sua casa diurna era l’osteria del paese.
L’oste, che gli voleva bene, gli aveva riservato un posto vicino alla stufa, in modo che nella cattiva stagione potesse ritemprarsi dai disagi notturni e asciugare i suoi scarponcini di tela senza stringhe che al calore emanavano vapori azzurrini.
Durante l’estate, invece, si sedeva davanti alla porta dell’osteria, su di una panchina di legno rustico su cui appoggiava anche il bicchiere ed il quartino che l’oste, di tanto in tanto, gli rinnovava.
Tutti quelli che entravano, ancor prima di salutare l’oste, davano il buon giorno al Cipolla, chi affettuosamente, chi con qualche canzonatura, senza cattiveria tuttavia. E lui, alzando la sua faccetta buffa dal bicchiere e pulendosi la bocca con la mano, rispondeva: <Ciarea>.
Verso l’ora in cui i compaesani cenavano, al ritorno dai campi, il Cipolla si faceva un giro per il paese, alla ricerca di inviti che peraltro non mancavano mai. Un piatto di minestra o una fetta di polenta al Cipolla nessuno li avrebbe negati. Pareva perfino portar fortuna essere gentili con lui. Così era invitato anche ai matrimoni e ai battesimi. Quanto ai funerali, il Cipolla non mancava mai e aveva un cuore così sensibile che si scioglieva in lacrime peggio dei parenti stretti del morto.
La Domenica si dava una ripulita sommaria alla fontana e andava in Chiesa anche lui da buon cristiano. Non osava però occupare un banco per la paura che qualcuno, meno caritatevole, gli si scostasse per via di quel suo odore sul quale l’incenso ahimè non prevaleva. Stava in piedi in fondo alla Chiesa, vicino al confessionale, rigirando il cappello tra le mani e masticando, a modo suo, qualche preghiera.
A Pasqua tutti si confessavano in quel paese di timorati di Dio e anche al Cipolla sarebbe piaciuto andare a raccontar qualcosa al suo prete perché vedeva che tutti uscivano dal confessionale soddisfatti. Il fatto è che al vino egli non poteva proprio rinunciare, quanto al resto, malgrado si sforzasse, non gli veniva in mente nulla che fosse interessante per un prete. Il prete, da parte sua, sapeva che in quel paese di timorati, nessuno aveva più diritto al Paradiso del povero Cipolla, si confessasse o meno.
Perché poi il Cipolla non andasse nei campi a guadagnarsi la giornata come gli altri, né scendesse in città a far l’operaio, come molti del paese, beh questo non era chiarissimo, ma nessuno se ne scandalizzava più che tanto. Era un essere libero, anche un po' anarchico; l’intelligenza non era tra le sue virtù principali e la sua infanzia, da poverissimo, aveva lasciato diversi segni sulla sua salute. Perciò nessuno mai gli aveva detto: sfaticato o perdigiorno o qualcos’altro di cattivo.
Insomma, il Cipolla era molto amato nel suo paese. I cani poi, che non badano alla puzza (anzi la considerano un pregio), lo adoravano; e quando lui camminava per il paese lo seguivano in corteo abbaiando festosamente.
Così quando morì, piangevano tutti, anche il prete durante l’omelia (cosa mai vista da quelle parti né altrove).
L’oste poi, che si considerava quasi parente, non frenava più i singhiozzi, immaginando quel posto vuoto sulla panchina.
Tutti lo accompagnarono fino al cimitero, fuori paese, e i cani guaivano lamentosamente. Il municipio pagò tutte le spese. I compaesani, da parte loro, recisero i fiori più belli del giardino e nessuna tomba mai, da quelle parti, fu più bella della sua.
Con gli anni poi il Cipolla divenne una leggenda e ancora si dicono su lui cose fantastiche. Appare in sogno agli ammalati che poi stanno meglio. Aggiusta i matrimoni, basta invocarlo. Fa crescere gli ortaggi. Difende il grano dalle tempeste.
I bevitori, poi, l’han fatto loro patrono.
Il prete, ormai vecchio, sorride di queste dicerie ma, dentro di sé, lo invoca:” santo Cipolla, aiutami a mantener la pace in questo paese”.
Lo chiamavano Il “Cipolla” per via della sua faccetta rustica, tonda e simpatica, e per la scia che lasciava dietro di sé, nella quale l’odore aspro del vino rosso e quello più aromatico del fieno si contendevano la prevalenza.
Del resto, era naturale che gli si appiccicassero addosso gli odori degli elementi tra cui viveva. Infatti dormiva in un fienile e la sua casa diurna era l’osteria del paese.
L’oste, che gli voleva bene, gli aveva riservato un posto vicino alla stufa, in modo che nella cattiva stagione potesse ritemprarsi dai disagi notturni e asciugare i suoi scarponcini di tela senza stringhe che al calore emanavano vapori azzurrini.
Durante l’estate, invece, si sedeva davanti alla porta dell’osteria, su di una panchina di legno rustico su cui appoggiava anche il bicchiere ed il quartino che l’oste, di tanto in tanto, gli rinnovava.
Tutti quelli che entravano, ancor prima di salutare l’oste, davano il buon giorno al Cipolla, chi affettuosamente, chi con qualche canzonatura, senza cattiveria tuttavia. E lui, alzando la sua faccetta buffa dal bicchiere e pulendosi la bocca con la mano, rispondeva: <Ciarea>.
Verso l’ora in cui i compaesani cenavano, al ritorno dai campi, il Cipolla si faceva un giro per il paese, alla ricerca di inviti che peraltro non mancavano mai. Un piatto di minestra o una fetta di polenta al Cipolla nessuno li avrebbe negati. Pareva perfino portar fortuna essere gentili con lui. Così era invitato anche ai matrimoni e ai battesimi. Quanto ai funerali, il Cipolla non mancava mai e aveva un cuore così sensibile che si scioglieva in lacrime peggio dei parenti stretti del morto.
La Domenica si dava una ripulita sommaria alla fontana e andava in Chiesa anche lui da buon cristiano. Non osava però occupare un banco per la paura che qualcuno, meno caritatevole, gli si scostasse per via di quel suo odore sul quale l’incenso ahimè non prevaleva. Stava in piedi in fondo alla Chiesa, vicino al confessionale, rigirando il cappello tra le mani e masticando, a modo suo, qualche preghiera.
A Pasqua tutti si confessavano in quel paese di timorati di Dio e anche al Cipolla sarebbe piaciuto andare a raccontar qualcosa al suo prete perché vedeva che tutti uscivano dal confessionale soddisfatti. Il fatto è che al vino egli non poteva proprio rinunciare, quanto al resto, malgrado si sforzasse, non gli veniva in mente nulla che fosse interessante per un prete. Il prete, da parte sua, sapeva che in quel paese di timorati, nessuno aveva più diritto al Paradiso del povero Cipolla, si confessasse o meno.
Perché poi il Cipolla non andasse nei campi a guadagnarsi la giornata come gli altri, né scendesse in città a far l’operaio, come molti del paese, beh questo non era chiarissimo, ma nessuno se ne scandalizzava più che tanto. Era un essere libero, anche un po' anarchico; l’intelligenza non era tra le sue virtù principali e la sua infanzia, da poverissimo, aveva lasciato diversi segni sulla sua salute. Perciò nessuno mai gli aveva detto: sfaticato o perdigiorno o qualcos’altro di cattivo.
Insomma, il Cipolla era molto amato nel suo paese. I cani poi, che non badano alla puzza (anzi la considerano un pregio), lo adoravano; e quando lui camminava per il paese lo seguivano in corteo abbaiando festosamente.
Così quando morì, piangevano tutti, anche il prete durante l’omelia (cosa mai vista da quelle parti né altrove).
L’oste poi, che si considerava quasi parente, non frenava più i singhiozzi, immaginando quel posto vuoto sulla panchina.
Tutti lo accompagnarono fino al cimitero, fuori paese, e i cani guaivano lamentosamente. Il municipio pagò tutte le spese. I compaesani, da parte loro, recisero i fiori più belli del giardino e nessuna tomba mai, da quelle parti, fu più bella della sua.
Con gli anni poi il Cipolla divenne una leggenda e ancora si dicono su lui cose fantastiche. Appare in sogno agli ammalati che poi stanno meglio. Aggiusta i matrimoni, basta invocarlo. Fa crescere gli ortaggi. Difende il grano dalle tempeste.
I bevitori, poi, l’han fatto loro patrono.
Il prete, ormai vecchio, sorride di queste dicerie ma, dentro di sé, lo invoca:” santo Cipolla, aiutami a mantener la pace in questo paese”.