Il bordo del male
Il bordo del male
cura del pensiero
l’oscuro morire abituale
in velenoso siero.
È lecito sempre agire
per placare mente iraconda
se mai si trova il finire
in un catino che di melma abbonda.
Or sollazza la visione
in versi o mera prosa
che ne fa dura tenzone
nella causa che si sposa.
S’è tutti in un tondo
parte integra e fondante
pronti per il fare immondo
che ognun diviene viandante.
Chiedesi in tal guisa
cos’è che vuol dir importanza
se ogni istanza vien derisa
e regna sovrana ignoranza.
Son io per passione?
Oppur balda e ignavia tracotanza?
Mesto lo scrivere va nel calderone
che le messi non son abbondanza.
Retorico il richiesto fare
e sembra pur perso verbo
e nulla volge mano all’Amare
sol egoistico riserbo.
Ma chi sei tu che infanghi?
Che della parola ferisci
che esci for dai tuoi ranghi
e mai pena interiore lenisci?
E quando giunge l’ora
pronta è la penna nel calamaio
che odio disseta aurora
e beltà termina in letamaio.
Spingi grasso e opulento
un carretto colmo di lerce granaglie
e intingi lingua a rovistare tormento
che di te i corvi fa cibaglie.
Nero in crudo viso
arranchi nel affannoso cercare
ascolti un falso sorriso
e proferisci adulazione nel declamare.
Te rifuggo oh falsa gente
non afflato e né delizia
provochi in alma gaudente
e di lettura non sia succosa primizia.
Il bordo del male
cura del pensiero
l’oscuro morire abituale
in velenoso siero.
È lecito sempre agire
per placare mente iraconda
se mai si trova il finire
in un catino che di melma abbonda.
Or sollazza la visione
in versi o mera prosa
che ne fa dura tenzone
nella causa che si sposa.
S’è tutti in un tondo
parte integra e fondante
pronti per il fare immondo
che ognun diviene viandante.
Chiedesi in tal guisa
cos’è che vuol dir importanza
se ogni istanza vien derisa
e regna sovrana ignoranza.
Son io per passione?
Oppur balda e ignavia tracotanza?
Mesto lo scrivere va nel calderone
che le messi non son abbondanza.
Retorico il richiesto fare
e sembra pur perso verbo
e nulla volge mano all’Amare
sol egoistico riserbo.
Ma chi sei tu che infanghi?
Che della parola ferisci
che esci for dai tuoi ranghi
e mai pena interiore lenisci?
E quando giunge l’ora
pronta è la penna nel calamaio
che odio disseta aurora
e beltà termina in letamaio.
Spingi grasso e opulento
un carretto colmo di lerce granaglie
e intingi lingua a rovistare tormento
che di te i corvi fa cibaglie.
Nero in crudo viso
arranchi nel affannoso cercare
ascolti un falso sorriso
e proferisci adulazione nel declamare.
Te rifuggo oh falsa gente
non afflato e né delizia
provochi in alma gaudente
e di lettura non sia succosa primizia.