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La consacrata

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1La consacrata Empty La consacrata Ven Set 17, 2021 8:49 am

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

LA CONSACRATA
Suor Letizia (al secolo Maria Bambina Ceronetti) era nata da una donna anziana, molto devota alla Vergine Maria, di costituzione fragile, di bacino stretto, con l’utero infantile ed una carenza di ormoni estrogeni. Se si aggiunge che era psicologicamente poco portata alle gioie e ai tormenti del sesso, si capirà come, giunta a quarant’anni, dopo diversi trattamenti terapeutici e molte novene alla Madonna di Lourdes, avesse perso quasi la speranza di diventare madre. Ma, proprio quando si preannunciavano i primi sintomi del climaterio, le apparve in sogno la Madonna di Lourdes e le preannunciò che avrebbe partorito, dopo nove mesi, una bellissima bambina.
Quella stessa notte, in un bagno di sudore e di rapimento mistico, la madre di suor Letizia svegliò il marito che dormiva accanto a lei e gli impose, quasi con la forza, il dovere coniugale.
Il povero uomo, oramai disabituato a queste prestazioni notturne, cionondimeno eccitato e commosso dal furore improvviso della moglie, fece del suo meglio per corrispondere alle aspettative, e i due, in men che non si dica e perfino volentieri, riuscirono in quell’intento sempre fallito in precedenza e lei si trovò dopo qualche mese ad accarezzare amorosamente una piccola pancia in rapida crescita. Il destino volle che la bambina nascesse (tra l’altro con un certo anticipo) proprio l’11 Febbraio, festa della Madonna di Lourdes.
Chiunque si sarebbe stupito dell’incredibile coincidenza, ma la mamma di Suor Letizia trovò il fatto naturalissimo e lo considerò semplicemente la conferma che quella bimba appartenesse più alla Madonna che a lei.
In cuor suo, decise di allevarla in funzione di un destino straordinario che, certamente, le sarebbe spettato.
Incominciò dal nome.
Scartando tutte le proposte di nomi più moderni che le venivano dal marito e da tutto il parentado, volle chiamarla Maria Bambina e fu irremovibile.
La bimba crebbe come un piccolo fiore di serra al riparo da ogni intemperia. La mamma la maneggiava con tutte le precauzioni e con un rispetto quasi religioso. Sembrava che cercasse nelle espressioni della piccola e nei suoi gesti i segni del Miracolo della sua esistenza.
Maria Bambina, però, era una creatura del tutto normale, anzi piuttosto vivace e perfino birichina.
Quando arrivò il tempo della Prima Comunione, la mamma ritenne giusto informarla del segreto della sua nascita. Da allora, la piccola cambiò atteggiamenti e umori. Fu come se ad una qualunque villanella, un giorno, fosse stato rivelato di essere la figlia naturale di un re e di non appartenere né ai genitori adottivi né all’ambiente contadino. Non osò più abbandonarsi alla sfrenatezza della sua età. Divenne timida, solitaria, come oppressa da un peso nascosto. Sostanzialmente: infelice.
La madre, lontana dal preoccuparsene, ne gioiva segretamente. Aspettava con ansia che arrivasse l’età giusta per l’entrata in convento. Madre e figlia ne parlavano spesso come di un evento del tutto naturale e indiscutibile. Il padre, alquanto perplesso e poco convinto, restava escluso da questi conciliabili domestici.
Ne era invece al corrente il Parroco, al quale la madre aveva confidato, in confessione, il segreto di famiglia. Il buon uomo, pur colpito dalla vicenda, raccomandava prudenza e seguiva il maturare nella ragazza della vocazione religiosa.
Quanto agli altri, vedevano nella bambina, mite e silenziosa, il marchio di una diversità che erano incerti se valutare in positivo o in negativo ma, nel dubbio, se ne tenevano a distanza. Soprattutto i coetanei la ignoravano. Qualcuno, più cattivello, la chiamava “la suorina” con un’ombra di scherno. Ma anche l’incomprensione degli altri veniva valutata, da madre e figlia, come un segno positivo della predestinazione.
Erano entrambe in attesa di un sogno che rivelasse con chiarezza quale fosse la via da seguire; in altre parole, quale Ordine monastico scegliere.
La madre propendeva per un Ordine di clausura nel quale la consacrazione alla Vergine risultasse più completa. Ma la figlia, in verità, malgrado tutta la convinzione e l’entusiasmo, si sentiva stringere il cuore al pensiero di una segregazione assoluta.
In assenza di ulteriori comunicazioni soprannaturali, si consigliarono con il Parroco che, non sapendo a sua volta che pesci prendere e avendo forti dubbi sull’intera vicenda, si appigliò al nome di Maria Bambina e suggerì l’analogo Ordine di suore Ospedaliere.
La fanciulla così iniziò il noviziato all’età di sedici anni, piena di fervore e di buone intenzioni. La vita di preghiera continua non le pesava affatto, essendoci abituata fin dalla prima infanzia. Le mancava però la compagnia della mamma che era stata il suo alter ego dal quale aveva preso, fino ad allora, un prezioso nutrimento spirituale. Inoltre, in mezzo a tante consacrate come lei, uguali in tutto, nel vestitino bianco, nel viso dolce e sorridente, nella voce controllata, sentiva di stare perdendo quasi la sua forte identità di creatura particolare.
Incominciò a rifugiarsi negli automatismi per difendersi da un senso di disgregazione. Era perfetta in tutto ciò che faceva, ma la sua anima pareva sempre altrove.
Il Direttore spirituale delle novizie non poteva esserle di grande aiuto perché lei non riusciva a portare il suo problema allo stato di consapevolezza. Mai avrebbe potuto minimamente ammettere di avere dei dubbi sulla propria vocazione.
L’unico aiuto le veniva dai rari e brevi contatti con sua madre che, stringendole le mani al di là del tavolino del parlatorio, pur senza parlarle, le infondeva una grande fiducia. Pareva dirle con gli occhi e con il calore della stretta: “noi due sappiamo che tu non sei una delle tante, ma sei la figlia prediletta di Maria”.
Comunque gli anni di noviziato passarono veloci e, alla fine, Maria Bambina prese i voti con il nome di suor Letizia e senza che dei veri e propri dubbi le avessero sfiorato la mente.
Per la madre quello fu il giorno più bello della sua vita. Mai aveva pianto di più gusto. Si sentiva un’eroina che aveva compiuto la sua missione e ora poteva anche morire. Diceva nel silenzio del suo cuore alla Madonna: “ecco, Tu me l’hai data e io Te la riconsegno.”
Da quel giorno, il destino delle due donne si divise. La madre, ormai anziana, si preparò a morire, mentre Suor Letizia iniziava la sua vera vita. Dopo un breve corso di preparazione, fu destinata, come suora infermiera, presso un Ospedale di Maternità.
Abituata al silenzio del Convento, fu inizialmente spaesata in quel mondo di attività febbrile, dove tutti avevano fretta e pareva che fosse sempre questione di vita o di morte.
Ma ben presto si adeguò, smise i suoi atteggiamenti caramellosi. Si rimboccò le maniche e, liberata dal peso del proprio destino, cominciò a vivere. Divenne una vera donna, pratica, risoluta, svelta, capace e si rese, nel giro di pochi mesi, indispensabile alla vita del suo reparto.
Si alzava che era ancora buio per recitare le lodi mattutine nella Cappella dell’Ospedale, ma già mentre pregava il suo pensiero andava alle incombenze della giornata. Alle sette, dopo una breve colazione, era in corsia, ordinata, pulita, elegante, nel suo grembiule bianco dal quale usciva il lungo collo da cigno che sosteneva la testolina bruna avvolta nel velo inamidato. Il suo sguardo, liberato dai fumi di un falso misticismo, era scintillante di intelligenza e di passione.
Una creatura così non poteva lasciare indifferenti i giovani medici che le facevano la ruota intorno, divertendosi a metterla in imbarazzo con una corte scherzosa. Lei avvampava ma riusciva a tenerli a bada, reggendo lo scherzo con sufficiente disinvoltura.
Durante l’esame di coscienza serale, prima di addormentarsi, con la testa sul cuscino, guardando l’ombra degli alberi disegnarsi sui vetri della sua stanzetta, si domandava se i lazzi affettuosi dei giovani uomini la lasciassero del tutto indifferente. Non riusciva a darsi una risposta convincente e sospirava preoccupata. Poi, si rivolgeva alla Vergine, sua protettrice, chiedendole di difenderla da ogni male e si addormentava serena.
Ma la vera tentazione che, con l’andar degli negli anni, si trasformò in tormento, erano i bambini. Provava una feroce invidia per ogni donna che partoriva ed era oppressa da fantasie in cui si vedeva con le gambe aperte sui lettini ginecologici e poi sentiva sgusciare da sé, tra l’umido del muco e del sangue, un bambino.
Spesso, entrando da sola nella nursery, al riparo da ogni sguardo, passava tra le culle divorando con gli occhi i piccoli visi rugosi, pieni di smorfie. Poi, come una ladra, vergognandosi, ne alzava uno dalla culla e se lo stingeva al cuore.
Proprio a causa di questi fenomeni che le davano un senso di colpa e che la lasciavano sbalordita, cominciò, per la prima volta nella sua vita, ad ospitare in sé dei veri dubbi sulla propria vocazione. Ma perché la Madonna l’aveva voluta tutta per sé, quando poi lasciava che le sue viscere implorassero la maternità, con un desiderio molto più impellente del desiderio sessuale? Mentre si potevano imputare al demonio le tentazioni del sesso (molti santi ne avevano fatto l’esperienza) a chi attribuire, se non alla propria natura frustrata, le tentazioni della maternità?
Il confessore sminuiva l’importanza di questi travagli.
“Suor Letizia, non ti preoccupare, non è un peccato desiderare di diventare madre per una suora. Devi solo trasformare questo istinto fisico in una maternità spirituale rivolta ai bambini degli altri”. Aggiungeva un paterno buffetto sulle guance e la liquidava affettuosamente.
Lei provò a parlare anche con Suor Chiara che aveva la sua età ed era arrivata in Ospedale contemporaneamente a lei.
Suor Chiara, che era una ragazza allegra e ridanciana, si divertiva alle paturnie della sua compagna.
“Ma che pazze idee ti vengono? La nostra è carne consacrata. Comunque, non preoccuparti, è che sei immersa nei pargoletti dalla mattina alla sera. Prova a farti mandare in un ospedale per vecchietti e vedrai che ti passa la voglia.”
La comprensione le venne, invece, da dove non se la sarebbe mai aspettata.
Un giorno di Luglio, nell’ora di Mensa, quando il caldo era insopportabile, entrò nella nursery per controllare che i tutti bimbi stessero bene. Per darsi refrigerio, si tolse il velo e si bagnò il viso con l’acqua fresca. Quindi, con il consueto senso di colpa, come di chi si accosta ad un frutto proibito, sollevò dalla culla il bambinetto che più le piaceva e si sedette, adagiandoselo al petto in una posa da allattamento.
Una voce maschile, dal tono ironico e festoso, la fece sussultare.
“Ma che bel quadretto poetico!”
Il dottor Raspelli era entrato dalla porta e la guardava con sincera ammirazione.
Si alzò di scatto e depose il bimbo nella culla, cercando con gli occhi il velo. Se fosse stata nuda di fronte ad un uomo non sarebbe stata più imbarazzata.
Lui afferrò il velo e glielo porse. Poi chiese: “ma perché tanto imbarazzo? Che c’è di male?”. Non sapeva lui stesso se si stesse riferendo alla mancanza del velo o all’atteggiamento verso il bambino.
Poi aggiunse: “tutte le donne dovrebbero sposarsi” e fra sé penso: “soprattutto quando sono belle”
Lei disse: “Il Signore non ci vuole tutte madri”
“Ah sì? E come fate a sapere come vi vuole il Signore?”
“Si sente la chiamata dentro il cuore”
“E lei Suor Letizia, a che età ha sentito la chiamata?”
La risposta non le venne subito perché ci sarebbe stata da raccontare tutta la storia del sogno profetico e poi tirare in ballo le convinzioni della madre che le erano state trasmesse con il latte. Avrebbe dovuto raccontargli che lei non aveva mai giocato con gli altri bambini e che la sua infanzia si era svolta tra la casa, la scuola e la chiesa e che, se lei andava nei prati, era solo per raccogliere il mazzolino di fiori per la Madonna.
Al ricordo della sua vita passata, provò una grande pietà per se stessa e due lacrime si affacciarono agli angoli degli occhi. Si sentiva anche umiliata di non poter rispondere. Si rigirava il velo tra le mani, sentendosi meschina, infelice, incapace di dare conto di se stessa. Le pareva che la sua vita, che la madre aveva considerato così preziosa ed eccezionale, le franasse addosso.
“Ho capito” disse lui per aiutarla “certe cose non si possono raccontare al primo venuto”
Temendo di averlo offeso, lei si affrettò a dire: “non è facile, non so neanch’io. Non sono più sicura di niente”.
E poi, a voce bassa in cui tremava il pianto: “forse avrei davvero fatto bene a sposarmi. Non sono degna del mio stato”.
Lui la guardò con tenerezza.
Tacquero a lungo, ascoltando lo sgocciolio dell’acqua nel lavandino. Lei non si difendeva più: le sembrava di avere raggiunto l’ultimo gradino dell’abiezione di una consacrata: dare in pasto i misteri sacri della propria vocazione ad un estraneo di sesso maschile e, probabilmente, ateo.
Stava seduta, con le braccia abbandonate in grembo, la testa coperta solo dai riccioli neri, il viso sudato. Si sentiva il cuore pesante ma, al tempo stesso, le pareva, come mai prima, di avere raggiunto il suo essere segreto: quell’io dolorante, incerto, piccolo, piccolo, che era sempre stato soffocato dalle fasce sontuose della gloria mistica.
Se lui l’avesse presa in quel momento tra le sue braccia, no, non come un amante bramoso ma come un padre affettuoso, lei avrebbe volentieri appoggiato la sua testa sul suo petto come una bambina piccola e, forse, si sarebbe liberata dalla sua pena con un lungo pianto.
Ma lui, che lo avrebbe fatto volentieri, non osò tanto. Però le accarezzo i capelli dicendole: “su su coraggio! Lo sappiamo tutti che è la miglior suora di tutto l’Ospedale. D’altra parte, suora o madre, che differenza fa? L’importante è amare.”
Questa frase, pronunciata con pacatezza, le si impresse nella mente come un marchio a fuoco.
“L’importante è amare: ecco la chiave di tutto” si disse in quel momento e si ripeté poi, anche quando lui se ne fu andato chiudendosi la porta alle spalle.
E, per tutto il giorno e per i giorni successivi, la frase le girava per la mente e le riscaldava il cuore. Perché mai nessuno le aveva rivelato, con tanta semplicità, questo segreto?
La decisione maturò nel giro di pochi mesi.
Un giorno, tornando nella sua stanza, si tolse con un gesto lento il velo deponendolo sul lettuccio, si avvicinò all’armadietto bianco, ne trasse la valigia con la quale era arrivata lì qualche anno prima e cominciò a riempirla dei pochi oggetti che le appartenevano. Sentiva gli uccellini cantare sugli alberi del parco e le pareva che la incoraggiassero a partire.
Si sedette al tavolino e scrisse una lettera per la Superiora.
Non volle darle troppe spiegazioni, ma disse solo che tornava a casa sua.
Non le importava nulla di quello che la superiora o qualunque altro avrebbe pensato di lei.
Poi scrisse un biglietto breve al dottor Raspelli: “Grazie di avermi aiutato”. Firmò, esitò un attimo, e poi aggiunse l’indirizzo di casa sua.
Depose la lettera nei rispettivi studi e uscì dall’ospedale con la valigetta in mano senza che nessuno la riconoscesse negli abiti borghesi.
Viaggiò in treno per tutta la notte senza riuscire a dormire ma con una grande sensazione di benessere e di felicità.
Arrivò a casa sua al mattino presto. I suoi genitori si erano appena alzati. Si erano fatti vecchi dall’ultima volta che li aveva visti. La guardarono stralunati come se fosse stata un fantasma. Lei li abbracciò:
“Sono venuta a stare con voi”.
“Ma come” chiese la mamma, “che dici?”
“Dico che l’importante è amare. Voglio stare con voi per curarvi e voglio anche sposarmi ed avere dei bambini”
“Ma la Madonna…” balbettò la madre.
“La Madonna ti ha fatto il dono di un figlio che non potevi avere e che desideravi tanto. Anch’io desidero tanto un bambino. Anche la Madonna ha avuto il suo Bambino. Tu mi hai regalato a lei e Lei ora mi restituisce a te. Mi vuoi mamma?”
Il padre, che aveva sempre sofferto di tutto quel “segreto” tra madre e figlia che gli aveva tolto la sua bambina, rispose felice: “certo che ti vogliamo, anzi, ma ti servirà un marito”.
“Non ti preoccupare papà, vedrai che la Madonna me lo sta già mandando”.
Proprio nello stesso momento, il dottor Raspelli, giunto in ospedale, stava leggendo il biglietto e sorrideva molto soddisfatto. Se lo infilò in tasca e iniziò le visite del mattino.

A Genoveffa Frau piace questo messaggio.

2La consacrata Empty Re: La consacrata Ven Set 17, 2021 3:49 pm

Genoveffa Frau

Genoveffa Frau
Master of Horse
Master of Horse

Una bellissima storia, le vocazioni non si possono imporre, ammiro il coraggio e la determinazione della donna che è riuscita a comprendere quale era il suo ruolo nella società, divenire madre e donare il suo amore attraverso la sua famiglia ritrovando la sua serenità interiore.
Sei bravissima Lycia, trasponi sentimenti e emozioni in modo esaustivo e particolareggiato e riesci a coinvolgere il lettore, letto d'un fiato, grazie!

3La consacrata Empty Re: La consacrata Sab Set 18, 2021 9:24 am

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

grazie a te per l'apprezzamento

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