Sempre più mi convinco che certi luoghi
sono da evitare come la peste bubbonica.
Sfrontatezza e ipocrisia fanno da cornice
a un ambiente oggi desolante e scontato.
Come la storia che mi appresto a raccontarvi:
In una conosciuta bettola detta dello scrivano in un paese dello stivale, gli avventori tra un boccale di birra e un rutto abbozzavano pensieri improvvisati senza nessun costrutto artistico.sono da evitare come la peste bubbonica.
Sfrontatezza e ipocrisia fanno da cornice
a un ambiente oggi desolante e scontato.
Come la storia che mi appresto a raccontarvi:
Facevano a gara per distinguersi con i loro confusi scritti, discutevano animatamente tra loro ma l'oste metteva freno alle smanie degli avventori ovvero presunti poeti. Lui era il capo.
Di poetico c'era il ridicolo della situazione, si cari lettori avete ben compreso, le persone sobrie non si sognavano neppure di mettere piede in una simile bettola dove l'incontrastato oste faceva il bello e il cattivo tempo, anzi era il primo della lista quando si presentava la classifica dei migliori,
indubbiamente era sempre tra questi, nella sua smisurata presunzione citava veri poeti con frasi
ad effetto poiché di suo e d'effetto, v'erano scarpe e gambe divaricate oppure pecore che brucavano nei prati tra ruote di vecchie carrette piene di rifiuti inquinanti abbandonate.
Le pietanze nella bettola non si distinguevano l'una dall'altra, molto simili tra loro con quel sapido
che le accomunava come fossero cucinate nello stesso calderone di rame ossidato a grave rischio intossicazione.
Poi v'erano le penne spuntate, al contrario delle matite che si potevano temperare, le prime imbrattavano i fogli d'inchiostro e quello strano olezzo che aleggiava somigliava ai peti di chi s'ingozza di fagioli, un vero pugno nello stomaco per chi osava varcare quella soglia.
Eppure in cima alla lista nonostante la confusione e i fetori c'era sempre lui, l'incontrastato oste.
Aveva sostituito il titolare e in breve tempo lo aveva mandato in pensione prendendo possesso del locale.
Non si può tralasciare di segnalare l'attenzione dell'oste rivolta a insignificanti particolari, tipo refusi, mentre gravissimi errori grammaticali venivano orgogliosamente approvati per non perdere i clienti dichiaratisi artisti della penna e del giacopiopoco. Consumavano e pagavano, quello importava, un legame che non riuscivano a spezzare i soliti bevitori che adoravano il fumo negli occhi.
Quel fumoso locale era un covo di salme riesumate, non spaventatevi, solo i nomi erano stati trafugati ma le anime oltraggiate aleggiavano intorno reclamando giustizia, dovevano riprendersi la loro identità per poter riposare in pace.
Quel luogo era divenuto la bettola dei dannati, condannati e soggiogati senza appello con la prospettiva di una piccola stella che poteva accendersi solo a intermittenza spezzando l'oscurità.
Alcuni erano riusciti ad abbandonare quel luogo di perdizione paragonabile a un bordello in fase calante come le braghe di alcuni, i più praticavano il cosi detto lecchinaggio pur di rientrare nelle grazie dell'oste.
Una storia come tante, desolante a tal punto che qualcuno affisse un cartello con su scritto:
Attenti ai dannati che non possono parlare per non essere bannati.
Morale, certi ambienti meglio non frequentarli se non si vuole perdere la dignità di essere accomunati a qualunquisti presuntuosi senza scrupoli.
Non amo bere
nei bicchieri altrui,
se a te piace, prosit
ma non bere dal mio.
Aria di pulito, mi piace.
Versami una birra,
vorrei brindare
alla mia salvezza.
Tratto da: I racconti della fumosa bettola.
nei bicchieri altrui,
se a te piace, prosit
ma non bere dal mio.
Aria di pulito, mi piace.
Versami una birra,
vorrei brindare
alla mia salvezza.
Tratto da: I racconti della fumosa bettola.