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Lo zio dottore

3 partecipanti

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1Lo zio dottore Empty Lo zio dottore Mer Set 22, 2021 12:21 pm

Licia

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Mamma Orsa
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LO ZIO DOTTORE

Domanda: su cosa fonda le sue radici la fiducia in un medico o, più generalmente, in un essere umano? Forse sulle credenziali scientifiche? O sulla fama? O su di una serie di ripetute esperienze di rapporto positive? O su di una valutazione teorica, razionale dell’insieme delle caratteristiche e dei comportamenti della persona in oggetto?
Risposta: la fiducia affonda le sue radici in una profonda sintonia dell’anima che può anche contraddire ogni apparenza.


Il medico di fiducia della mia famiglia era lo zio Giovanni.
Da molti anni ormai lui abita nella sua tomba-casetta, a due posti, con piccola aiuola e giardino, vicino alle residenze definitive di tutti quei rami vecchi della mia famiglia che sono stati già recisi dal grande albero genealogico comune.
Il suo faccione, ornato da due belle, grandi orecchie a sventola, come vele bianche di un veliero, mi è apparso tra i primi volti vicini, al diradarsi delle nebbie dell’indistinzione della prima infanzia.
Suppongo però di non aver mai osato, giunta all’età della conoscenza tattile, prendere in mano il suo naso, così come facevo con quella attraente appendice degli altri visi familiari. Perchè lo zio Giovanni era soprattutto un uomo che non dava confidenza a nessuno e sapeva tenere a distanza i bambini senza servirsi delle modulazioni della voce né delle espressioni del viso. Del resto parlava poco: giusto l’indispensabile. Quanto al viso, non fosse stato per le orecchie a sventola che gli davano, suo malgrado, un che di buffo e giocoso, sarebbe stata una statua di cera o meglio di ghiaccio.
La mia mamma mi diceva spesso, riferendosi a lui: “ l’hai trovato eh! l’uomo del formaggio!” che nel nostro gergo familiare di istriani risciacquati nel Sesia, significa: “l’uomo che ti mette a posto.”
In effetti la mia irruenza infantile si frenava automaticamente quando arrivavo a pochi metri da lui quasi fosse circondato da un campo magnetico di protezione. Era il suo “territorio” che gli altri (bambini o adulti che fossero) non dovevano invadere per nessuna ragione.
Mia madre lo definiva “insipido” volendo significare la sua completa (forse apparente) assenza di emotività. Lei compiangeva molto la povera sorella che se l’era sposato e che era una donna piena di voglia di vivere e di amare. Zia Pina, per compensarsi, riuniva nella sua casa allegre brigate di amici alle quali, naturalmente, zio Giovanni non partecipava.
Eppure questo zio “insipido”, glaciale, affetto da un mal di testa cronico, in qualche modo mi attraeva. Capivo che era una persona seria, essenziale. Inoltre la sua professione di medico, con tutto quel potere di interdire, di prescrivere, di dare verdetti dai quali dipendeva la vita delle persone, lo metteva, ai miei occhi, in una sfera superiore, quasi magica.
Quando veniva a casa nostra per curarci non era più lo zio Giovanni ma era “il medico” e aspettavamo con ansia le sue scarne parole, prive di fronzoli, che ritagliavano dalla complessità della diagnosi scientifica quel tanto che ci riguardava perchè sapessimo che cosa bisognava o non bisognava fare e che cosa c’era d’aspettarsi dal futuro immediato e lontano.
Ed era ancora più “il medico” quando lo vedevo nel suo studio (situato in un’ala del suo grande appartamento) con il camice bianco e il viso più serio e inespressivo che mai, affiancato dal suo fedele infermiere che gli introduceva i clienti dalla sala d’aspetto.
Quella zona della casa degli zii mi attirava incredibilmente: mi pareva che là succedessero cose turche. Ogni tanto arrivavano nelle altre stanze urla disumane di bambini forse più spaventati che torturati veri e propri. C’è da dire però che a quei tempi la pratica dell’anestesia era meno diffusa di oggi e, a giudicare dai reperti sanguinolenti che l’infermiere recava sulle recelle di lucido metallo in direzione del bagno, qualche ragione di urlare quei poveri bambini l’avevano.
Quando lo zio era assente io, spesso e volentieri, mi facevo un giro per il suo studio, curiosando, con morboso interesse, nelle vetrine piene di pinze, bisturi, cucchiaini, tenaglie ed altri strumenti di tortura. Mi attirava anche una specie di scafandro dal quale partivano i raggi ultravioletti che, oltre ad essere adibiti a usi più seri, abbronzavano, durante l’estate, il corpo di mia zia.
Se nessuno, preoccupato per la mia assenza, veniva a cercarmi, mi sdraiavo anche sul lettino, coperto da un lenzuolo candido, per provare il brivido della paura. Immediatamente la memoria, sollecitata da quell’atmosfera densa di odori pungenti, mi riproduceva le urla dei miei disgraziati coetanei e allora me ne scappavo terrorizzata prima che arrivassero lo zio Giovanni o il suo infermiere e mi scambiassero per una paziente da torturare.
Crescendo ho saputo un’altra “stranezza” dello zio: era ateo, una parola grossa nella mia famiglia di cattolici praticanti, convinti e appassionati. La si pronunciava con sospetto, con paura, quasi fosse una malattia grave, di quelle che conducono a morte o, diciamo piuttosto, all’inferno.
Io non mi sapevo rassegnare a questa stranezza dello zio Giovanni. Nel mio fervore mistico degli anni adolescenziali avrei voluto parlargli per convertirlo o almeno per capire come si potesse essere atei di fronte all’evidenza luminosa della fede. Gli scrissi una lettera nella quale misi tutta la mia passione religiosa e attesi una risposta che, naturalmente, non venne mai. Di certo, lette le prime argomentazioni, avrà fatto una pallottola della mia bella lettera e l’avrà buttata nel cestino.
Ciononostante gli volevo bene e quel che è più strano, date le premesse, avevo fiducia in lui.
Quando, per la prima volta nella mia vita, ormai adulta, mi ammalai di una malattia seria e vidi intorno al mio letto una girandola di specialisti famosi, chiamati dai miei genitori, io volevo solo lo zio Giovanni e davo retta soltanto a lui.
In quell’occasione scoprii che anche lui, a modo suo, mi voleva bene. Veniva a vedermi più volte al giorno, stava seduto in camera mia, in silenzio, e io mi sentivo protetta dalla sua presenza.
Poi, più avanti, si ammalò lui di una malattia grave che, freddamente, diagnosticò subito. Non ne parlava mai perchè aveva orrore del patetico ma si guardava di frequente, con un gesto istintivo, le palme delle mani che diventavano sempre più bianche.
Non mi avrebbe mai concesso alcuna manifestazione affettiva e così, anche se il mio cuore ne traboccava, non uscivano da me né parole né sguardi particolari. Eppure io sospettavo che lui si riscaldasse al calore del mio affetto.
Morì nell’ospedale dove aveva lavorato per tanti anni. Il cappellano disse che si era confessato prima di morire.
Mi concessi di piangere al suo funerale: tanto ormai non mi poteva più vedere.

A Genoveffa Frau piace questo messaggio.

2Lo zio dottore Empty Re: Lo zio dottore Mer Set 22, 2021 6:08 pm

Genoveffa Frau

Genoveffa Frau
Master of Horse
Master of Horse

Uno zio all'apparenza severo ma sicuramente con un cuore d'oro e un ottimo medico degli altri e di se stesso e sono certa un buon ascoltatore e la fiducia viene spontanea con chi sa ascoltare mostrando comprensione e competenza.

3Lo zio dottore Empty Re: Lo zio dottore Mer Set 22, 2021 10:53 pm

Giancarlo Gravili

Giancarlo Gravili
Admin Master & Commander
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Gli uomini piú burberi e severi in realtá sono i piú buoni di tutti e forse anche i piú comprensivi...

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