ROSPI A COLAZIONE
Caricata da un peso misterioso ed invisibile, che le curvava le spalle gracili ricoperte da una camicetta a fiori di colore indefinito, la contadina saliva il colle a piccoli passi lenti e regolari.Anche guardandola da vicino sarebbe stato impossibile dare una età al suo volto, scuro di sole e di sporcizia, attraversato da rughe profonde, verticali ed orizzontali, che formavano ragnatele.Ma gli occhi erano vivi e malandrini, d’un azzurro cupo con striature verdi da gatto. Parevano lì per caso, come se appartenessero a ben altro soggetto.
Due ragazzi, con lo zaino sulle spalle ed un mazzo di stelle alpine nelle mani, le attraversarono la strada e le gridarono dietro qualche facezia, solo un poco insolente.
La donna si fermò, trasse dalla tasca delle sua gonna a pieghe un libricino unto, lo aprì a caso e seguì per un attimo, con l’indice dall’unghia lunga ad artiglio, lo scorrere dell’occhio sulle righe. Poi si volse nella direzione dei ragazzi che si erano allontanati ridendo. Dagli occhi le partì un fulmine zigzagante che in un secondo arrivò a segno.
Lì, sull’erba umida del mattino, dove c’erano prima due ragazzi e due mazzi di stelle alpine s’accese un fuoco alto, con lingue lunghe come serpi, e lucciole ardenti si sparsero tutt’intorno.
La donna stette a guardare finché la fiamma si ridusse ad una bragia rossa che da lontano pareva un fiore.
Solo allora riprese il suo cammino verso la cima del monte dove stava la sua casa.
Un cane zoppo le venne incontro, muovendo un poco la coda mozza. Lei gli posò la mano sul dorso e vi stampò il disegno di cinque dita di pelle rosa tra il pelo folto. Il cane mugolò e si nascose, rapido, sotto un canterano.Lei trasse dalla dispensa certi vasi in vetro dove nuotavano in un olio denso e disgustoso rane, rospi e serpentelli. Se ne servì un piatto pieno, tagliandoli a pezzetti con un coltello. Anche il cane partecipò a quel banchetto, leccando il piatto sporco d’olio e di residui.Sazia e soddisfatta, la contadina si stese al sole, appena fuori dalla sua capanna e subito vennero, come richiamati dalla sua presenza, lunghe file nere d’insetti, provenienti dalle viscere della terra e le si arrampicarono lungo le braccia fino quasi a ricoprirle il viso. Ma lei non ne pareva affatto disgustata. Anzi. Gli scarafaggi neri, con le loro armature dure e scricchiolanti, la riparavano dai raggi del sole ormai alto all’orizzonte.
Quando la calura del pomeriggio le stava chiudendo le palpebre, fu richiamata indietro, dal pozzo di un sonno profondo e ristoratore, da alcune voci umane: “Signora, ci scusi, ha visto passare di qua due ragazzi?”
Si risvegliò nervosa dal mancato pisolino e la sua faccia ormai era da strega tanto che i malcapitati, vedendola bene da vicino, avrebbero voluto scappare e cominciavano a sospettare la fine dei figli.
Balbettarono una scusa e le mostrarono le spalle, scendendo a precipizio giù dal monte.
Lei li lasciò illudere per un bel tratto di strada. Poi lanciò dagli occhi un siluro infuocato: e divennero cenere che si sparpagliò nell’erba, impolverando di grigio le genziane, i colchici e le margherite
Caricata da un peso misterioso ed invisibile, che le curvava le spalle gracili ricoperte da una camicetta a fiori di colore indefinito, la contadina saliva il colle a piccoli passi lenti e regolari.Anche guardandola da vicino sarebbe stato impossibile dare una età al suo volto, scuro di sole e di sporcizia, attraversato da rughe profonde, verticali ed orizzontali, che formavano ragnatele.Ma gli occhi erano vivi e malandrini, d’un azzurro cupo con striature verdi da gatto. Parevano lì per caso, come se appartenessero a ben altro soggetto.
Due ragazzi, con lo zaino sulle spalle ed un mazzo di stelle alpine nelle mani, le attraversarono la strada e le gridarono dietro qualche facezia, solo un poco insolente.
La donna si fermò, trasse dalla tasca delle sua gonna a pieghe un libricino unto, lo aprì a caso e seguì per un attimo, con l’indice dall’unghia lunga ad artiglio, lo scorrere dell’occhio sulle righe. Poi si volse nella direzione dei ragazzi che si erano allontanati ridendo. Dagli occhi le partì un fulmine zigzagante che in un secondo arrivò a segno.
Lì, sull’erba umida del mattino, dove c’erano prima due ragazzi e due mazzi di stelle alpine s’accese un fuoco alto, con lingue lunghe come serpi, e lucciole ardenti si sparsero tutt’intorno.
La donna stette a guardare finché la fiamma si ridusse ad una bragia rossa che da lontano pareva un fiore.
Solo allora riprese il suo cammino verso la cima del monte dove stava la sua casa.
Un cane zoppo le venne incontro, muovendo un poco la coda mozza. Lei gli posò la mano sul dorso e vi stampò il disegno di cinque dita di pelle rosa tra il pelo folto. Il cane mugolò e si nascose, rapido, sotto un canterano.Lei trasse dalla dispensa certi vasi in vetro dove nuotavano in un olio denso e disgustoso rane, rospi e serpentelli. Se ne servì un piatto pieno, tagliandoli a pezzetti con un coltello. Anche il cane partecipò a quel banchetto, leccando il piatto sporco d’olio e di residui.Sazia e soddisfatta, la contadina si stese al sole, appena fuori dalla sua capanna e subito vennero, come richiamati dalla sua presenza, lunghe file nere d’insetti, provenienti dalle viscere della terra e le si arrampicarono lungo le braccia fino quasi a ricoprirle il viso. Ma lei non ne pareva affatto disgustata. Anzi. Gli scarafaggi neri, con le loro armature dure e scricchiolanti, la riparavano dai raggi del sole ormai alto all’orizzonte.
Quando la calura del pomeriggio le stava chiudendo le palpebre, fu richiamata indietro, dal pozzo di un sonno profondo e ristoratore, da alcune voci umane: “Signora, ci scusi, ha visto passare di qua due ragazzi?”
Si risvegliò nervosa dal mancato pisolino e la sua faccia ormai era da strega tanto che i malcapitati, vedendola bene da vicino, avrebbero voluto scappare e cominciavano a sospettare la fine dei figli.
Balbettarono una scusa e le mostrarono le spalle, scendendo a precipizio giù dal monte.
Lei li lasciò illudere per un bel tratto di strada. Poi lanciò dagli occhi un siluro infuocato: e divennero cenere che si sparpagliò nell’erba, impolverando di grigio le genziane, i colchici e le margherite
