GLI ASPIRANTI SUICIDI
Alzi la mano chi non ha mai pensato al suicidio almeno una volta nella vita. Chi non ha mai saziato la belva ferita del proprio cuore con l’immagine anticipata della scoperta del cadavere. Chi non ha mai preparato nella propria mente tutte le mosse: l’acquisto degli strumenti idonei, il laconico biglietto d’addio, (non troppo chiaro perché siano in molti a sentirsi in colpa), un po' d’ordine tra le proprie cose che diventeranno cimeli che “loro” si disputeranno, un abito che sia all’altezza della situazione.
Fatto il programma, ci si sente meglio e si può cominciare ad assaporare la vendetta, nell’attesa di realizzarla poi, con tutto comodo, senza nessuna fretta.
E’ come premere il pulsante del televisore e godersi il film: un uomo (od una donna, un vecchio, una bambina, è la stessa cosa) sdraiato sul suo letto, con il viso pallidissimo, i capelli (meglio se lunghi e scuri per il contrasto) sparsi sul cuscino in artistico disordine; la bocca semiaperta lascia scorrere un rivolo di sangue; un braccio a penzoloni deposita la mano bianca sul tappeto. Sul comodino un flacone vuoto di veleno ed il biglietto ... Lei (o lui o loro) entra e lancia un grido: “Amore mio, che hai fatto?”.
Qui ,di solito, scatta la prima lacrima, in coincidenza con il fiume di lacrime di chi ha fatto la scoperta: “Amore mio perdonami. Non sapevo che soffrivi tanto. Ed io, disgraziata, come farò ora senza di te a vivere questa lunga vita?”.
A questo punto vorreste vedere il cadavere alzarsi e consolarla, ma vi rendete conto che non è possibile. Ormai è fatta e poi dai, è inutile che faccia la piagnona, se lo è meritato di vivere una vita di solitudine, di rimpianti e di rimorsi!
In genere, la scena della scoperta del cadavere è sufficiente a risarcire dai torti subiti, ma, se proprio non si è avuta piena soddisfazione, si può spostare il telecomando sulla scena del funerale.
Qui il dolore dei “cattivi”, indegni della nostra presenza nel mondo, è corale. Noi, naturalmente, immaginiamo un funerale che farà epoca (soprattutto se siamo giovani e belli). Dietro al carro camminano, affranti, i più cattivi di tutti: i nostri parenti stretti, quelli per i quali ci suicideremo (con comodo, senza nessuna fretta). Si sorreggono a vicenda e sono il quadro vivente della disperazione e del rimorso. Nelle file più dietro, camminano altri, più disinvolti, meno colpevoli, ma tutti, proprio tutti, si rammaricano sinceramente per una sì grave perdita.
“Una persona così squisita ed intelligente e sensibile. Ma perché lo avrà fatto?” “Era incompreso, sottovalutato come tutti i grandi uomini”.
Al momento del sotterramento, si levano, dal coro di pianto, degli “assolo” strazianti.
Qui l’aspirante suicida, se non è un mostro, non resiste, spegne il televisore e si butta sul letto irrompendo in un pianto liberatorio.
Ora che ha visto che squisita persona sia e come tutti lo amino, può anche decidere, per questa volta, di ingoiare il rospo (dell’incomprensione, dell’offesa e del tradimento ) e di provare (solo provare eh!) a vivere un altro poco.
Alzi la mano chi non ha mai pensato al suicidio almeno una volta nella vita. Chi non ha mai saziato la belva ferita del proprio cuore con l’immagine anticipata della scoperta del cadavere. Chi non ha mai preparato nella propria mente tutte le mosse: l’acquisto degli strumenti idonei, il laconico biglietto d’addio, (non troppo chiaro perché siano in molti a sentirsi in colpa), un po' d’ordine tra le proprie cose che diventeranno cimeli che “loro” si disputeranno, un abito che sia all’altezza della situazione.
Fatto il programma, ci si sente meglio e si può cominciare ad assaporare la vendetta, nell’attesa di realizzarla poi, con tutto comodo, senza nessuna fretta.
E’ come premere il pulsante del televisore e godersi il film: un uomo (od una donna, un vecchio, una bambina, è la stessa cosa) sdraiato sul suo letto, con il viso pallidissimo, i capelli (meglio se lunghi e scuri per il contrasto) sparsi sul cuscino in artistico disordine; la bocca semiaperta lascia scorrere un rivolo di sangue; un braccio a penzoloni deposita la mano bianca sul tappeto. Sul comodino un flacone vuoto di veleno ed il biglietto ... Lei (o lui o loro) entra e lancia un grido: “Amore mio, che hai fatto?”.
Qui ,di solito, scatta la prima lacrima, in coincidenza con il fiume di lacrime di chi ha fatto la scoperta: “Amore mio perdonami. Non sapevo che soffrivi tanto. Ed io, disgraziata, come farò ora senza di te a vivere questa lunga vita?”.
A questo punto vorreste vedere il cadavere alzarsi e consolarla, ma vi rendete conto che non è possibile. Ormai è fatta e poi dai, è inutile che faccia la piagnona, se lo è meritato di vivere una vita di solitudine, di rimpianti e di rimorsi!
In genere, la scena della scoperta del cadavere è sufficiente a risarcire dai torti subiti, ma, se proprio non si è avuta piena soddisfazione, si può spostare il telecomando sulla scena del funerale.
Qui il dolore dei “cattivi”, indegni della nostra presenza nel mondo, è corale. Noi, naturalmente, immaginiamo un funerale che farà epoca (soprattutto se siamo giovani e belli). Dietro al carro camminano, affranti, i più cattivi di tutti: i nostri parenti stretti, quelli per i quali ci suicideremo (con comodo, senza nessuna fretta). Si sorreggono a vicenda e sono il quadro vivente della disperazione e del rimorso. Nelle file più dietro, camminano altri, più disinvolti, meno colpevoli, ma tutti, proprio tutti, si rammaricano sinceramente per una sì grave perdita.
“Una persona così squisita ed intelligente e sensibile. Ma perché lo avrà fatto?” “Era incompreso, sottovalutato come tutti i grandi uomini”.
Al momento del sotterramento, si levano, dal coro di pianto, degli “assolo” strazianti.
Qui l’aspirante suicida, se non è un mostro, non resiste, spegne il televisore e si butta sul letto irrompendo in un pianto liberatorio.
Ora che ha visto che squisita persona sia e come tutti lo amino, può anche decidere, per questa volta, di ingoiare il rospo (dell’incomprensione, dell’offesa e del tradimento ) e di provare (solo provare eh!) a vivere un altro poco.