BALLANDO CON I GATTI
Era una vecchia zitella, sapete, di quelle tristi, dico quelle di una volta, che ora il femminismo ha riscattato dalla colpa di non essere state volute da un uomo ( come se quella fosse la più importante realizzazione nella vita di una donna). Passava la giornata con un rosario in mano per chiedere un po’ di affetto lì, dove non lo si nega a nessuno. Oppure passeggiava nel giardinetto accanto alla sua casa per mangiarsi con gli occhi quei bambinetti che non aveva avuto lei. Erano in pochi a guardarla. La gente ama l’allegria: i cani, le belle donne, i bambini che giocano al pallone. Chi si accorge delle panchine dove siedono i vecchi oppure le zitelle annoiate e tristi?
Però, un giorno, qualcuno si accorse di lei: un gatto. Bruttino, spelacchiato, con l’aspetto di uno che mangia poco e con poco fiato perfino per dire “miao!
Amore a prima vista. Lui disse “miao” e lei, estasiata rispose: “miao”. La lingua dell’amore è semplice.
Ed ecco i due avviarsi verso la casa di lei. Una tazza di latte tiepido sanzionò il loro fidanzamento. E poi furono coccole reciproche sul quel divano solitario. Lui le raccontò, in silenzio, la storia di loro gatti randagi, sempre alla ricerca di cibo e di amore. Lei scoprì la sua tardiva vocazione: avrebbe fatto la gattara. Sapete, le gattare sono quelle strane donne che costruiscono , in luoghi un po’ nascosti, dei piccoli rifugi, micro casette, che riparano dalla pioggia. E ogni giorno della loro vita, trasferiscono dalla loro tavola alla casetta, gli avanzi del cibo, e abbondante latte. I randagi, si passano la voce e si ritrovano a mangiare insieme quelle poche cose condite da tanto amore.
La gattara “nostra” fu molto felice di quel suo nuovo impegno. Si addormentava alla sera con il “suo” gatto, tra le braccia e poi sognava di ballare, di ballare, come se fosse ancora giovane, con tutti i gatti del quartiere, che facevano “mao” “mao” “mao” al tempo di tarantella.
Era una vecchia zitella, sapete, di quelle tristi, dico quelle di una volta, che ora il femminismo ha riscattato dalla colpa di non essere state volute da un uomo ( come se quella fosse la più importante realizzazione nella vita di una donna). Passava la giornata con un rosario in mano per chiedere un po’ di affetto lì, dove non lo si nega a nessuno. Oppure passeggiava nel giardinetto accanto alla sua casa per mangiarsi con gli occhi quei bambinetti che non aveva avuto lei. Erano in pochi a guardarla. La gente ama l’allegria: i cani, le belle donne, i bambini che giocano al pallone. Chi si accorge delle panchine dove siedono i vecchi oppure le zitelle annoiate e tristi?
Però, un giorno, qualcuno si accorse di lei: un gatto. Bruttino, spelacchiato, con l’aspetto di uno che mangia poco e con poco fiato perfino per dire “miao!
Amore a prima vista. Lui disse “miao” e lei, estasiata rispose: “miao”. La lingua dell’amore è semplice.
Ed ecco i due avviarsi verso la casa di lei. Una tazza di latte tiepido sanzionò il loro fidanzamento. E poi furono coccole reciproche sul quel divano solitario. Lui le raccontò, in silenzio, la storia di loro gatti randagi, sempre alla ricerca di cibo e di amore. Lei scoprì la sua tardiva vocazione: avrebbe fatto la gattara. Sapete, le gattare sono quelle strane donne che costruiscono , in luoghi un po’ nascosti, dei piccoli rifugi, micro casette, che riparano dalla pioggia. E ogni giorno della loro vita, trasferiscono dalla loro tavola alla casetta, gli avanzi del cibo, e abbondante latte. I randagi, si passano la voce e si ritrovano a mangiare insieme quelle poche cose condite da tanto amore.
La gattara “nostra” fu molto felice di quel suo nuovo impegno. Si addormentava alla sera con il “suo” gatto, tra le braccia e poi sognava di ballare, di ballare, come se fosse ancora giovane, con tutti i gatti del quartiere, che facevano “mao” “mao” “mao” al tempo di tarantella.