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I cannibali

2 partecipanti

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1I cannibali Empty I cannibali Lun Feb 15, 2021 4:03 pm

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

I CANNIBALI


I figli della signora R., benché adulti da molti anni, vivevano ancora in casa, secondo quella specie di contratto collettivo intergenerazionale che comporta vitto, alloggio, manutenzione del guardaroba, assistenza malattie, pronto soccorso affettivo in caso di cataclismi sentimentali, in cambio di una somma, puramente simbolica, di denaro, poche briciole di affetto e di gratitudine, qualche saltuaria collaborazione domestica, la presenza alle feste di rito ed un alito di giovanile allegria.
Se li era visti sfuggire di mano con il guizzo di pesci lucidi e scivolosi. Era stata messa, insieme al consorte, più o meno educatamente, alla porta della loro vita.
“Tu non riusciresti a capire”. “Sono fatti miei”. “Di che t’impicci?” ed altre espressioni più colorite mutuate dal variopinto vocabolario giovanile.
E lei si era abituata a fare da soprammobile, contentandosi di qualche sporadico riconoscimento d’esistenza tipo: “Cosa hai mamma oggi? Ti vedo pallida” oppure: “Non te l’ha mai detto nessuno che cucini proprio bene?” Al posto del solito grugnito di approvazione a qualche piattino succulento.
Se ne sfogava, spesso, con le sue amiche, compagne di sventura, ed era tutto un coro di lamentele su questa gioventù egoista e ingrata.
In seguito, si era perfino stancata di lamentarsi e si era chiusa in una cupa malinconia che la faceva vecchia anzitempo. Non aveva altri interessi al di fuori dei suoi compiti di massaia, esauriti i quali, amava chiudersi nella sua “stanza dei ricordi”: un’ampia poltrona di pelle consumata, con grandi braccioli. In quell’abbraccio accogliente, quasi materno, lei si rifugiava con l’album delle fotografie, con le letterine d’amore dei suoi scolaretti, con i disegni forniti di dedica “alla mia adorata mamma”. In molte lettere c’era l’evidente zampino della maestra: “Ti prometto che sarò sempre buono” “Ti sono riconoscente per tutto quello che fai per me” “Ti chiedo scusa di essere stato birichino”. Ma, tra le sviolinate melense, affioravano teneri sentimenti d’infantile amore. Ce n’era per poter piangere un pomeriggio intero.
Il marito, a vederla così appartata e stralunata, giustamente se ne preoccupava .
“Cara, tu te ne stai facendo un’ossessione. Ma cosa vuoi farci? I figli crescono, si staccano e così sia. Tutte le donne si rassegnano”.
Ma lei neppure lo ascoltava. Si teneva in mano le foto per ore, interrogando con lo sguardo quei visetti che, a loro volta, la fissavano come persone vive. Il marito la sentiva borbottare qualche cosa.
Oppure guardava intensamente i figli mentre mangiavano distratti. Sembrava cercare sul loro viso le tracce dei bambini che erano stati. Ma, in realtà, quei loro tratti le risultavano sempre più estranei. Il tempo s’era lavorata la pasta morbida del viso ricavandone effetti strani. Che ne era di quei nasetti esili e delicati? Di quelle guance tenere da angioletti? Di quelle bocche turgide come ciliege? Dei riccioli biondi? E da dove uscivano quei nasi adunchi, quelle mascelle dure, quelle labbra sottili e pallide, quei capelli scuri ed ispidi? E che dire dei vocioni sgraziati che avevano sostituite le care voci argentine, delle quali la casa pareva ancora risuonare se lei chiudeva gli occhi?
Il suo sguardo andava assomigliando sempre di più a quello di un’allucinata, finché un giorno, la pazzia esplose con la violenza di una malattia a lunga incubazione.
Era il momento del pranzo e la famiglia s’apprestava a quell’ora, insopportabile per tutti, di forzata convivenza intorno ad una tavola: un’ora di silenzi alternati a banalità quotidiane.
Lei aveva cucinato molto anche se si era sentita sconvolta fin dal mattino. Ma cucinare per lei era un automatismo. La lunga pratica del mestiere le consentiva di adibirvi una sola parte del cervello, come una serva bene addestrata. Il restante della materia grigia farneticava.
Mentre i suoi figli ed il marito masticavano uno spezzatino, appena un poco bruciato, lei si alzò in piedi e si mise a gridare: “Cannibali, vi siete mangiati i miei bambini!”
Il marito tentò di calmarla, abbracciandola, sperando così di evitare il peggio. Ma era troppo tardi: la follia si era impadronita di lei in modo irreversibile.
I figli la guardavano impietriti e anche loro cercavano in quella maschera orribile di vecchia pazza i lineamenti dolci e gentili di quella che era stata una madre amorosa.

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2I cannibali Empty Re: I cannibali Lun Feb 15, 2021 7:54 pm

Genoveffa Frau

Genoveffa Frau
Master of Horse
Master of Horse

Terribile uscire di senno e farneticare, la vecchiaia è una brutta bestia quando decide dei tuoi pensieri e li
trasforma in orribili mostri. Potremmo ritrovarci bimbi inconsapevoli delle nostre azioni, che Dio ci aiuti a tenere salda la mente! I genitori sono pazienti con i figli, si spera che lo siano anche loro con i genitori se perdono il senno!

A Licia piace questo messaggio.

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