Acepsut rapito dall'amore per la bellissima Akenafis
s'abbandona nella perdizione per lei.
Irraggiungibile come una Dea per il sacerdote diviene ossessione d'amore.
Nei suoi scritti egli così declama.
Prima lettera d'amore:
Labirinti di perversione
tu che in me sei ossessione.
Trancio serpenti ingoiando occhi.
Scruta il falco nella notte,
il fiume dei morti ribolle d' anime.
Passi inconsistenti appaiono.
Labbra infuocate nel destino del suono.
Sfioro turgide emozioni,
sigillo in tombe mere passioni.
Re del trapassato pensiero,
manovro le membra dell'uomo.
Osservo le fattezze tue.
Nelle trasparenze m'immergo
per morire rinascendo.
Siano notti nella lussuria del dio Amos,
siano effluvi della disciplina di Sefor.
Siano corpi privi di sembianze,
nel contorcersi dell'essenza del peccato.
Io sono nel sibilo del vento
che attraversa le tue vesti,
io sono acqua che nelle tue forme si compiace,
freddo come il mondo che non esiste,
caldo come l'anfora del divino nettare.
Io sono privo d'inizio,
senza orizzonti finiti.
Io sono tramonto sul Nilo.
Io sono luce delle parole,
io sono freccia persa
nella valle del fremito,
nei sentieri della tua pelle di luna,
nell'arco delle infinite perdizioni.
Io sono Acepsut signore del silenzio,
padrone dei vasi sacri,
custode dei segreti dell'immortalità,
io sono tutto e nulla,
sono in ogni dove e in nessun luogo.
Sono quello che sono,
schiavo dei tuoi occhi di smeraldo,
oh mia regina Akenafis
Seconda lettera d'amore:
Io sono,
quello che sono.
Oh Akenafis.
Signore del mondo dell'oltre,
padrone delle tenebre di Assurbal.
Tra rive di reconditi perché mi ritrovai
e cascate di nubi
sorte dove non erano tentazioni.
Io che del corpo tralasciai discipline
per essere empio e poco.
Cercai il colmo
d'un bicchiere vuoto.
Come fiori d'un deserto
assaggiai il corso del sapere
avidamente affamato,
digiuno dell'universale moto.
Seppi di te,
oh dea,
amante di perdute reminiscenze.
Da te venni a imparare
turgide carezze nel bagno del peccato.
Bevvi da infuocati seni,
l'arte della incoscienza
perdendomi nel tempio dei non vivi.
Io che vissi morendo,
fui vita quando morte colse
il senso del nonsenso.
Quando l'abbandono nel tuo flessuoso velluto
mi rese avido di te.
D'avorio e mirra vestii le mie mani,
d'oro furono i gemiti,
di mosto e miele
fu il succo dell'amore.
Ventagli di spezie adornarono il pulsare,
onde del mare s'infransero nella calma d'obliate lagune,
scrosci di tempeste mi inebriarono del tuo amplesso.
Fui tutto in un momento.
Fui esistenza,
spegnendomi in quel momento.
Mai più vissi,
mai più compresi.
Lasciai la foresta delle gocce di lussuria,
lasciai il tramonto sui tuoi occhi d'argilla pura,
mi specchiai nel regno del mirto in fiore.
Divenni fiore
dell'oscurità
per esser preda
d'un convulso esistere.
Divenni lacrima per bagnare il tuo viso.
Divenni sole per prosciugare la tua sete.
Divenni effimera sospensione d' acque di rugiada
per acquietare i tuoi sensi.
Divenni emisfero di luce
per illuminare il tuo lato oscuro,
Infine divenni ombra per ghermire le tue sembianze
e custodirle nel mio paradiso dei sensi.
Terza lettera
Acepsut s'abbandona a se stesso nella dolcezza dell'amore impossibile:
Trascorro il tempo
sospeso tra il crepuscolo che abbraccia il mare
e le tue labbra rosso fuoco.
Intreccio le onde
con i tuoi capelli scuri come profonde acque.
Freme l'aria,
scossa da fulmini e tuoni.
Freme la tempesta che sferza il cuore.
Solco le acque senza timore
per giungere da te,
mia regina.
Spargerò d'ambrosia il sentiero degli dei.
Trasformerò in oro i calici in cui berrai
il nettare dell'amore.
Riempirò le otri di novello succo.
Miele sarò per i tuoi sensi.
Sarà amore a far germogliare aridi deserti,
sarà amore,
per sempre scritto sulle pietre dei templi,
che al vento offrono passioni e desideri”.
Quarta lettera
Acepsut s'addormenta nel desiderio e la sua passione diviene amore puro:
Dolce miele,
delizia della mia lussuria,
di te mi nutro in ozio
saziando l'insaziabile,
estinguendo il pulsante tremare del desiderio.
Tu che sei rovente sabbia del mio crogiolo,
lascia che io ti assapori fino all'ultimo lembo,
lascia che io stenda le mie mani sul tuo inebriante
profumo.
Lascia che il notturno gemere svegli l'universo
dal suo oscuro torpore,
lascia che io sia quello che sono:
l'amante tuo.
Amore se mai accarezzerò
il colore della vita,
ascolta le frasi scolpite nella mia pazzia.
Ascolta il torrente di solitudine
che scorre nel mio cuore.
Ascolta il lamento del mare
che sussurra nenie dimenticate.
Oceani confusi
oltre l'orizzonte danzano nella libidine.
Laggiù l'eco s'inchina al tuo splendore.
Laggiù la profondità dei tuoi movimenti
innalza le onde delle nostre paure.
Ultimo atto.
Acepsut si sveglia del sonno e nel tormento assoluto
decide di suicidarsi con il veleno:
Ancora una volta
attraverserò le più remote regioni dell'impossibile,
per stringere a me l'origine del peccato.
Tu che fosti mio peccato
tu che silente ascoltasti il mio ultimo “ti amo”,
cantato per te.
Tu che navigasti come viva nel mare dei morti
prendendo il mio tormento
e legandolo ai remi che solcavano
le ingiustizie d'amore.
Tu che bruciasti la mia carne
come acqua di pozza nel deserto.
Ascolta questo canto d'angoscia
questo respiro flebile
che grida nella notte infinita
Ascolta...
Ascolta l'ultima mia parola oh mia regina Akenafis
e lascia che io sia fine.
Solo per te.
s'abbandona nella perdizione per lei.
Irraggiungibile come una Dea per il sacerdote diviene ossessione d'amore.
Nei suoi scritti egli così declama.
Prima lettera d'amore:
Labirinti di perversione
tu che in me sei ossessione.
Trancio serpenti ingoiando occhi.
Scruta il falco nella notte,
il fiume dei morti ribolle d' anime.
Passi inconsistenti appaiono.
Labbra infuocate nel destino del suono.
Sfioro turgide emozioni,
sigillo in tombe mere passioni.
Re del trapassato pensiero,
manovro le membra dell'uomo.
Osservo le fattezze tue.
Nelle trasparenze m'immergo
per morire rinascendo.
Siano notti nella lussuria del dio Amos,
siano effluvi della disciplina di Sefor.
Siano corpi privi di sembianze,
nel contorcersi dell'essenza del peccato.
Io sono nel sibilo del vento
che attraversa le tue vesti,
io sono acqua che nelle tue forme si compiace,
freddo come il mondo che non esiste,
caldo come l'anfora del divino nettare.
Io sono privo d'inizio,
senza orizzonti finiti.
Io sono tramonto sul Nilo.
Io sono luce delle parole,
io sono freccia persa
nella valle del fremito,
nei sentieri della tua pelle di luna,
nell'arco delle infinite perdizioni.
Io sono Acepsut signore del silenzio,
padrone dei vasi sacri,
custode dei segreti dell'immortalità,
io sono tutto e nulla,
sono in ogni dove e in nessun luogo.
Sono quello che sono,
schiavo dei tuoi occhi di smeraldo,
oh mia regina Akenafis
Seconda lettera d'amore:
Io sono,
quello che sono.
Oh Akenafis.
Signore del mondo dell'oltre,
padrone delle tenebre di Assurbal.
Tra rive di reconditi perché mi ritrovai
e cascate di nubi
sorte dove non erano tentazioni.
Io che del corpo tralasciai discipline
per essere empio e poco.
Cercai il colmo
d'un bicchiere vuoto.
Come fiori d'un deserto
assaggiai il corso del sapere
avidamente affamato,
digiuno dell'universale moto.
Seppi di te,
oh dea,
amante di perdute reminiscenze.
Da te venni a imparare
turgide carezze nel bagno del peccato.
Bevvi da infuocati seni,
l'arte della incoscienza
perdendomi nel tempio dei non vivi.
Io che vissi morendo,
fui vita quando morte colse
il senso del nonsenso.
Quando l'abbandono nel tuo flessuoso velluto
mi rese avido di te.
D'avorio e mirra vestii le mie mani,
d'oro furono i gemiti,
di mosto e miele
fu il succo dell'amore.
Ventagli di spezie adornarono il pulsare,
onde del mare s'infransero nella calma d'obliate lagune,
scrosci di tempeste mi inebriarono del tuo amplesso.
Fui tutto in un momento.
Fui esistenza,
spegnendomi in quel momento.
Mai più vissi,
mai più compresi.
Lasciai la foresta delle gocce di lussuria,
lasciai il tramonto sui tuoi occhi d'argilla pura,
mi specchiai nel regno del mirto in fiore.
Divenni fiore
dell'oscurità
per esser preda
d'un convulso esistere.
Divenni lacrima per bagnare il tuo viso.
Divenni sole per prosciugare la tua sete.
Divenni effimera sospensione d' acque di rugiada
per acquietare i tuoi sensi.
Divenni emisfero di luce
per illuminare il tuo lato oscuro,
Infine divenni ombra per ghermire le tue sembianze
e custodirle nel mio paradiso dei sensi.
Terza lettera
Acepsut s'abbandona a se stesso nella dolcezza dell'amore impossibile:
Trascorro il tempo
sospeso tra il crepuscolo che abbraccia il mare
e le tue labbra rosso fuoco.
Intreccio le onde
con i tuoi capelli scuri come profonde acque.
Freme l'aria,
scossa da fulmini e tuoni.
Freme la tempesta che sferza il cuore.
Solco le acque senza timore
per giungere da te,
mia regina.
Spargerò d'ambrosia il sentiero degli dei.
Trasformerò in oro i calici in cui berrai
il nettare dell'amore.
Riempirò le otri di novello succo.
Miele sarò per i tuoi sensi.
Sarà amore a far germogliare aridi deserti,
sarà amore,
per sempre scritto sulle pietre dei templi,
che al vento offrono passioni e desideri”.
Quarta lettera
Acepsut s'addormenta nel desiderio e la sua passione diviene amore puro:
Dolce miele,
delizia della mia lussuria,
di te mi nutro in ozio
saziando l'insaziabile,
estinguendo il pulsante tremare del desiderio.
Tu che sei rovente sabbia del mio crogiolo,
lascia che io ti assapori fino all'ultimo lembo,
lascia che io stenda le mie mani sul tuo inebriante
profumo.
Lascia che il notturno gemere svegli l'universo
dal suo oscuro torpore,
lascia che io sia quello che sono:
l'amante tuo.
Amore se mai accarezzerò
il colore della vita,
ascolta le frasi scolpite nella mia pazzia.
Ascolta il torrente di solitudine
che scorre nel mio cuore.
Ascolta il lamento del mare
che sussurra nenie dimenticate.
Oceani confusi
oltre l'orizzonte danzano nella libidine.
Laggiù l'eco s'inchina al tuo splendore.
Laggiù la profondità dei tuoi movimenti
innalza le onde delle nostre paure.
Ultimo atto.
Acepsut si sveglia del sonno e nel tormento assoluto
decide di suicidarsi con il veleno:
Ancora una volta
attraverserò le più remote regioni dell'impossibile,
per stringere a me l'origine del peccato.
Tu che fosti mio peccato
tu che silente ascoltasti il mio ultimo “ti amo”,
cantato per te.
Tu che navigasti come viva nel mare dei morti
prendendo il mio tormento
e legandolo ai remi che solcavano
le ingiustizie d'amore.
Tu che bruciasti la mia carne
come acqua di pozza nel deserto.
Ascolta questo canto d'angoscia
questo respiro flebile
che grida nella notte infinita
Ascolta...
Ascolta l'ultima mia parola oh mia regina Akenafis
e lascia che io sia fine.
Solo per te.