La dirimpettaia
Si raccontano storie di amori sbocciati tra i balconi, all’ombra di gerani e oleandri, o di favolose dirimpettaie coperte solo dai capelli sciolti.
Io non ho mai avuto questa fortuna. Di fronte a me, abita soltanto una vecchina, vedova da tanti anni. Non so neppure come si chiami o quanti anni abbia, eppure di lei so tante cose. La vedo, alla mattina, spazzare la sua casetta e sprimacciare il cuscino da cui escono piume leggere che volteggiano per l’aria come fiocchi di neve. Poi , si riposa un attimo, con i gomiti sul davanzale e mi guarda sorridendo, timida ma affettuosa. Verso mezzogiorno, dalla sua finestra escono vapori che profumano dei cibi di una volta che ormai le donne giovani non cucinano più. Il suo tavolo non è vicino alla finestra ma la immagino seduta, con un tovagliolo a quadri annodato al collo per non sporcare il vestitino nero, mangiare, tutta sola, il suo piatto di minestra, e farsi il segno della croce, prima e dopo il pasto come insegnavano ai suoi tempi.
Nel primo pomeriggio non la vedo mai, probabilmente si sdraia sul letto per una pennichella o recita il rosario. Ma verso le quattro, ricompare sul davanzale e ha sempre in mano una tazza di porcellana azzurra di stile giapponese. Le piace sorseggiare la sua bevanda, guardando fuori e , se mi vede, di nuovo mi saluta sorridendo. Poi, con un piccolo innaffiatoio giallo, quasi un giocattolo, bagna le sue piantine. Più tardi, la vedo uscire, tutta elegante, con una borsetta nera e immagino che vada in chiesa per una preghiera o per incontrare un’amica, magari vedova come lei, per un po’ di compagnia.
Qualche volta , invece, si trascina dietro, faticosamente, il carrello della spesa ma non rinuncia a sorridere se incontra qualcuno.
Di tanto, in tanto, vedo arrivare suo figlio. Li sento ridere e scherzare e immagino i suoi occhi felici. Quando lui se ne va, lei lo segue , a lungo, dalla finestra.
A volte, la sua finestra rimane chiusa, allora penso che sia ammalata e, infatti, dopo un giorno o due, arriva il dottore, con una valigetta scura. Rimango inquieto fin che non la vedo ricomparire, un po’ più pallida e smagrita ma sempre con il suo sorriso dolce.
So che non è lontano il giorno in cui , insieme al dottore, arriverà il prete, e poi li vedrò uscire dal portone scuotendo la testa. E poi, ci sarà il figlio addolorato e, dalla finestra, uscirà un suono di rosario. E sul portone apparirà un cartello: affittasi. E sarò triste perché io le voglio bene.
Si raccontano storie di amori sbocciati tra i balconi, all’ombra di gerani e oleandri, o di favolose dirimpettaie coperte solo dai capelli sciolti.
Io non ho mai avuto questa fortuna. Di fronte a me, abita soltanto una vecchina, vedova da tanti anni. Non so neppure come si chiami o quanti anni abbia, eppure di lei so tante cose. La vedo, alla mattina, spazzare la sua casetta e sprimacciare il cuscino da cui escono piume leggere che volteggiano per l’aria come fiocchi di neve. Poi , si riposa un attimo, con i gomiti sul davanzale e mi guarda sorridendo, timida ma affettuosa. Verso mezzogiorno, dalla sua finestra escono vapori che profumano dei cibi di una volta che ormai le donne giovani non cucinano più. Il suo tavolo non è vicino alla finestra ma la immagino seduta, con un tovagliolo a quadri annodato al collo per non sporcare il vestitino nero, mangiare, tutta sola, il suo piatto di minestra, e farsi il segno della croce, prima e dopo il pasto come insegnavano ai suoi tempi.
Nel primo pomeriggio non la vedo mai, probabilmente si sdraia sul letto per una pennichella o recita il rosario. Ma verso le quattro, ricompare sul davanzale e ha sempre in mano una tazza di porcellana azzurra di stile giapponese. Le piace sorseggiare la sua bevanda, guardando fuori e , se mi vede, di nuovo mi saluta sorridendo. Poi, con un piccolo innaffiatoio giallo, quasi un giocattolo, bagna le sue piantine. Più tardi, la vedo uscire, tutta elegante, con una borsetta nera e immagino che vada in chiesa per una preghiera o per incontrare un’amica, magari vedova come lei, per un po’ di compagnia.
Qualche volta , invece, si trascina dietro, faticosamente, il carrello della spesa ma non rinuncia a sorridere se incontra qualcuno.
Di tanto, in tanto, vedo arrivare suo figlio. Li sento ridere e scherzare e immagino i suoi occhi felici. Quando lui se ne va, lei lo segue , a lungo, dalla finestra.
A volte, la sua finestra rimane chiusa, allora penso che sia ammalata e, infatti, dopo un giorno o due, arriva il dottore, con una valigetta scura. Rimango inquieto fin che non la vedo ricomparire, un po’ più pallida e smagrita ma sempre con il suo sorriso dolce.
So che non è lontano il giorno in cui , insieme al dottore, arriverà il prete, e poi li vedrò uscire dal portone scuotendo la testa. E poi, ci sarà il figlio addolorato e, dalla finestra, uscirà un suono di rosario. E sul portone apparirà un cartello: affittasi. E sarò triste perché io le voglio bene.