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Acciughe in salamoia

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1Acciughe in salamoia Empty Acciughe in salamoia Gio Gen 14, 2021 6:07 pm

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

Acciughe in salamoia

Mi svegliai in un luogo nero. Nulla, né in questo né in un altro eventuale mondo, poteva essere più disperatamente nero. Sapevo che era notte e che un attimo prima stavo dormendo. Da come stavo scomodo e abbracciato da ogni parte da una durezza circolare che mi impediva qualsiasi movimento perfino delle mani, capii di essere chiuso in una botte. Come poi fossi finito lì, oh! Questo era il problema. Ma non era il caso di farsi delle domande, per così dire filosofiche, quando bisognava concentrarsi su come uscire da quella situazione.
Mi ricordai che qualcuno aveva parlato della forza del pensiero. Feci una raccolta di tutti quei rivoli di energia vitale che scorrevano nel mio essere, come un generale che, stando in piedi su di una collina, in tutta la sua marziale e sfolgorante potenza, chiama a raccolta le truppe sparse a bivaccare qua e là sulle pendici.
Gonfiai il petto spingendo il fiato contro le pareti delle costole, solo movimento che potevo produrre, emettendo dalle fauci un grido che lacerò il silenzio del luogo, riducendolo in coriandoli neri che mi ricaddero addosso.
Solo allora mi resi conto di essere fottuto e di avere la Morte come unica alleata. L'aria si sarebbe presto esaurita e non sarei potuto fuggire da lì, lasciando in pegno il mio corpo inservibile.
Eppure, non ero rassegnato a morire. Anzi l'idea che quella poca aria si stava consumando rapidamente mi faceva impazzire. Provai a spingere, con il corpo raggomitolato, in tutte le direzioni con la speranza di impartire un moto alla botte, chissà mai non fosse in qualche posizione di equilibrio instabile e immaginai che, alla fine, potesse rotolare, rotolare in un piano inclinato che la portasse velocemente ad infrangersi contro qualche cosa di duro e bitorzoluto.
Ogni manovra fu inutile. Ma proprio quando stavo recitando le mie ultime preghiere con il fervore di uno che non ha mai pregato ma che ha capito che non è più il tempo di giocare a fare l'ateo, sentii un rumore come di suola 46 su legno ferrato e subito dopo entrai in un moto rotatorio che mescolava insieme, e tritava e spappolava e impastava, ogni cellula del mio corpo. Malgrado tutto riuscii a pensare che non ne sarei uscito vivo e che, se la botte si fosse squarciata, qualcuno avrebbe potuto al massimo raccogliere qualche bicchiere di frullato umano da offrire al suo cane come regalo di compleanno. Ma quando la botte giunse al termine della sua corsa io ero, non solo incredibilmente, meravigliosamente vivo, ma perfino intero con tutte le ossa al loro posto giusto. Solo i capelli si erano rizzati e li sentivo sulla testa come spilli infilzati in un cuscinetto da lavoro di una sarta.
La botte si doveva essere bucata in qualche punto perché un fiotto d'aria pura, dall'intenso sapore di mare, usciva come da un rubinetto aperto e mi deliziava gli ormai asfittici polmoni.
Mai, come in quel momento, capii il concetto della relatività e, insieme, della felicità. Mai avrei potuto credere che anche un filo d'aria avesse in sé la potenza di rendere felici e che si potesse chiamare felicità la situazione di un uomo chiuso in una botte molto più piccola di lui e resistente ai terremoti. Eppure, non sono mai stato più felice di così perché stavo respirando e potevano succedere ancora tante cose nel mio futuro prossimo.



Caddi in un sonno profondo e sognai di stare navigando in mare su di una navicella sbattuta dalle onde. Mi sentivo bene ed ero circondato da graziose sirene che mi offrivano alghe, anemoni di mare e perle. Una, più piccola delle altre, mi faceva il solletico sotto il mento e rideva formando due fossette sulle guance. Non avevo nessun pensiero né preoccupazione. Ma, ad un tratto, un suono di voci umane fece scappare le sirene ed ebbi appena il tempo di vedere la farfalla verde delle loro code sparire tra i flutti, che mi svegliai portandomi dal sogno quelle voci umane maschili piuttosto rauche.
"Tirala su", diceva una.
"Pesa", diceva un’altra.
"È bucata”, diceva la terza.
"Beh, sfasciamola, che aspettate?"
"Fermi tutti", dissi a questo punto, "fate attenzione, ci sono dentro io."
Seguì un silenzio. Gli uomini si stavano certo consultando tra loro con gli sguardi.
Poi uno disse:
"Come sei finito là dentro?"
"Mi piacerebbe saperlo. Ma ora tiratemi fuori in fretta che mi devo sgranchire le gambe."
Incominciarono ad armeggiare con cacciaviti e martelli e si dispersero in chiacchiere e commenti che parevano, viste le circostanze, del tutto superflui.
Quando Dio volle, la botte fu schiodata e si scoperchiò rivelando ai miei poveri occhi quasi ciechi la meraviglia di un cielo azzurro come non mai.
Sarà stato perché le gambe intorpidite rifiutavano di spingermi verso l'uscita, ma è certo che restai per un po' nella mia prigione a godermi la vista di quello spicchio di cielo sul quale passavano rapidi uccelli e nuvole bianche mosse dalla brezza marina; poi due uomini nerboruti mi afferrarono per le braccia estraendomi da lì e mi deposero sulla sabbia. Il mare era vicino, ne sentivo il suono e l'odore e, per la seconda volta, gustai la felicità. Mi faceva male tutto ma non me ne importava nulla.
Poi svenni. Mi pareva di galleggiare di nuovo e intorno a me le sirene danzavano sull'acqua come fiori di carne leggiadra. Le voci dei miei salvatori erano un brusio lontano come un sottofondo musicale.
Mi risvegliai con una boccetta di cognac sulle labbra e un forte bruciore allo stomaco. Uno degli uomini mi sorreggeva la testa e l'altro mi colava il cognac nel corpo per rianimarmi. Vidi che erano pescatori. Avevano piedi nudi dalle unghie nere, pantaloni arrotolati ai polpacci irsuti e camicie a scacchi. Puzzavano alquanto ma mi parvero angeli.
Uno mi sorrise e mi offrì un sigaro già fumato a metà.
"Mi sapresti indicare dove mi trovo?" Chiesi gentilmente.
"Italia" risposero.
"Sì, ma dove?"
"Puglia."
Avevo dunque percorso tanti chilometri? E come? E con chi? E perché?
"Io vengo dalle Marche" sussurrai. "Dormivo nel mio letto, come tutte le sere, vicino a mia moglie e mi sono trovato chiuso in quel barile come una sardina arrotolata."
"Eh, son cose che succedono" disse uno; e l'altro "non tanto spesso, ma possono succedere."
"Non dite cacchiate" disse il terzo e riprese: "cose di questo genere succedono solo nei film ma non nella vita vera. Se lui dormiva con sua moglie, tranquillo e magari russava, come volete che l'abbiano preso e infilato nella botte e inchiodato senza che si sia neppure svegliato?"
"L'avranno drogato e magari la moglie era d'accordo. Oppure avranno drogato anche lei e ora si troverà in qualche altra botte a navigare sull'acqua.”
"Ehi piano piano", dissi un po‘ piccato che discutessero delle mie vicende dolorose con un certo distacco e una punta di divertimento come se si trattasse di commentare un film giallo nel salone di un cinema, "che mia moglie non fosse d'accordo con un eventuale ladro o assassino è fuori discussione. Voi non la conoscete. E' la donna migliore del mondo. Quindi, se mi hanno drogato, hanno drogato anche lei e forse ha viaggiato con me nello stesso camion insieme ad altri barili di acciughe o di birra o di qualche altra cosa. E poi l'hanno scaricata da qualche altra parte. Anzi ora vado a cercarla."
E feci per alzarmi ma ricaddi pesantemente sulla sabbia con un versaccio di dolore.
"Non muoverti" disse uno dei pescatori “faccio un giro io” e si allontanò saltellando. Pareva contento di avere fornito la pista giusta per la soluzione del giallo.
Mentre mi massaggiavo i piedi per fare riprendere la circolazione, gli altri due pescatori parevano pensierosi. Uno masticava tabacco sputando in continuazione, l'altro faceva scorrere un sasso tra le palme delle mani in un moto rotatorio.
"Sto pensando", disse infine quest'ultimo con voce solenne come di chi pensa solo nelle grandi occasioni, "c'è, a pochi chilometri da qui, una ditta che trasporta pesce in salamoia. Parte con il camion ogni settimana per il Centro Europa. Scarica i barilotti pieni e torna con quelli vuoti.”
Mi sforzai di pensare se la botte che mi aveva fatto da casa puzzasse di pesce ma, con tutti i difetti che poteva avere, non mi pareva di poterle attribuire anche quello.
"Non vuol dir niente", osservò il pescatore leggendomi nel pensiero, "le botti vengono sottoposte a dei trattamenti che le rifanno come nuove." Per me è sicuro", aggiunse, "droga, colpo in testa, botte, camion, spiaggia."
"Sì", dissi per non parer scortese, "è possibile, ma non pensi che se il quasi assassino appartiene alla ditta della salamoia è stato un po’ imprudente a buttar la botte a così poca distanza quando avrebbe avuto tanti altri posti, boschi, fiumi, campagna lungo il tragitto?"
"Ah! Ma non è detto che si tratti di uno degli autisti della ditta. Potrebbe essere stato chiunque altro che può avere approfittato del camion per confondere il barile pieno di carne umana tra quelle vuote."
A parte la mancanza di finezza nel definire me (ed eventualmente la mia signora) come "carne umana", l'ipotesi poteva reggere. D'altra parte, si sa che gli assassini hanno sempre il problema di far sparire i cadaveri. Di solito li avvolgono nei tappeti per poi buttarli in acqua ma, a prescindere dal fatto che in casa mia non ci sono tappeti abbastanza grandi da infilarci un cadavere, nella mia città ci sono solo vasche per pesci nei giardini pubblici. Cosa di meglio quindi, per un assassino, che procurarsi due botti di media grandezza, passare sorridendo e fischiettando dalla guardiola del portiere con l'aria di un giovane e simpatico garzone del vinaio? Il portiere, al massimo, avrà pensato con invidia: "quale dei signori inquilini ha fatto rifornimento per l'inverno?" Poi più tardi, a guardiola chiusa e a portiere a nanna, sarà ripassato sudato e ansante sotto il peso dei miei settanta chili. L'avrà poi caricato sul camion in sosta di fronte a qualche osteria e buonanotte al secchio. L'autista, verso la fine del viaggio, sceso magari a far pipì, si sarà accorto di quel barile (o di quei due barili) in più. Ne avrà valutato il peso, decidendo di sbarazzarsene con un calcione ben assestato, caso mai contenesse qualche cosa di imbarazzante di cui dover dare successive spiegazioni.
Mentre questi pensieri si agitavano nella mia mente come fagioli che sobbollissero in pentola, il pescatore ritornò dall'esplorazione con una faccia delusa. Aveva trovato molti oggetti sui quali, volendo, si sarebbe potuto fantasticare in giallo (una scarpa, una calzamaglia, un paio di mutandine, coltelli arrugginiti, un gabbiano morto) ma di una moglie, morta o viva, chiusa in una botte o libera, nessuna traccia.
"Non è detto che l'abbia buttata qua", disse per consolarmi, "può averla buttata da qualsiasi altra parte."
Ormai, dopo le mie dichiarazioni di cieca fiducia, lui pensava che io l'avrei preferita mille volte morta che complice dall'assassino e su questo aveva ragione da vendere.



Ancora adesso, dopo tanti anni, rimpiango di non essere rimasto sveglio a chiacchierare sdraiato sulla sabbia appena inumidita, tra i piccoli granchi che, sfuggendo di tra le maglie dei pescatori, si arrampicavano sui miei piedi, immobile, e con quell'odore meraviglioso di sale e di pesce che mi faceva sentire così vivo.
E invece ho voluto cedere ad un torpore delizioso che mi ottundeva il cervello e mi sono ritrovato, una volta ancora, a navigare sulla navicella, circondato dalle sirene.
Almeno fossi rimasto lì sempre, a farmi sventagliare il viso dalle loro code sgocciolanti cobalto fuso. Ma ho avuto la cattiva idea di risvegliarmi rimanendo, tuttavia, sdraiato ad occhi chiusi.
Fui così costretto ad ascoltare la mia condanna a morte in un tribunale anomalo, con il soffitto azzurro cielo e gli scogli per sedili.
Da una fessura, tra le palpebre, vedevo i miei giudici accarezzarsi il mento pensierosi. Non avevano più quell'aria bonacciona da salvatori di uomini in salamoia. Nei loro occhi adusi ai vasti orizzonti marini si accendevano luci inquietanti di cupidigia e di malizia.
Parlavano di me come di uno che tanto aveva già vissuto più di quanto non gli spettasse e che quel di più di vita lo doveva a loro.
"Non è il caso di sentirsi in colpa", diceva uno, "almeno non saprà mai che schifo di moglie aveva".
"Sì", rincarava l'altro, "per me gli facciamo un piacere"
Il terzo era già oltre gli scrupoli e si stava domandando quale fosse il modo migliore per sbarazzarsi di me.
"Rimettiamolo nella botte, inchiodiamolo e ributtiamolo a mare" propose.
A parte il dolore che provavo per il tradimento di amici tanto simpatici e, naturalmente, la mancanza di voglia di morire giovane, ero, più di ogni altra cosa, curioso di conoscere il movente di un simile viraggio di atteggiamento nei miei confronti: dalla più squisita cortesia alla strumentalizzazione bieca. Che beneficio avrebbero essi tratto dalla mia morte?
Ma non tardai a darmi una risposta. Infatti il primo che aveva parlato disse che si sarebbe incaricato lui di telefonare a mia moglie per chiederle un appuntamento urgente.
Era evidente che li muoveva il miraggio del ricatto. Ma come facevano a sapere che mia moglie era viva e, per di più, colpevole? E ancora: come pensavano di poterla rintracciare quando io ero sicuro di non aver rivelato loro neppure il mio nome di battesimo?
"Ah! Ecco quanto sono stupido " mi dissi poi " hanno frugato nelle mie tasche mentre mi facevo cullare dalle sirene e hanno trovato l'agendina. Quanto alla colpa, beh diciamolo, loro erano stati colpevolisti fin dall'inizio. Probabilmente avevano per mogli delle streghe, potenziali assassine che, se avessero avuto qualche soldo sotto il materasso, si sarebbero volentieri liberate di loro per goderselo con gli amici. D'altra parte i pescatori, sul piano squisitamente obiettivo, non avevano tutti i torti a pensare male. Infatti era difficile ipotizzare che il ladro/assassino si fosse potuto introdurre in casa per prendermi a martellate senza che io mi fossi neppure svegliato. E poi: come si poteva spiegare che io avessi ancora al polso il mio orologio d'oro che avrebbe dovuto ragionevolmente far parte del bottino? Mentre l'ipotesi della complicità di mia moglie filava liscia come sull'olio: un sonnifero nella camomilla insieme al bacio della buona notte perpetua, una telefonata all'amante: "vieni caro, dorme come un angelo e non scordarti la botte, il camion è qui sotto."
Solo io, che l'amavo alla follia, sapevo che non era colpevole perché l'amore se ne fotte dell'evidenza, non gliene importa un tubo delle prove. L'amore è cieco e se ne vanta. Sapevo che la mia povera cara aveva subìto la stessa sorte mia e forse, in quel momento, stava sorseggiando una tazza di tè, con un plaid sulle spalle in qualche capanno di boscaiolo e mi stava difendendo dall'accusa di essermi voluto liberare di lei in quel modo fantasioso e indegno.
Avrei avuto voglia di aprire gli occhi, di alzarmi in piedi e di gridare: " Vili! Che ne sapete voi dell'amore? Voi pensate solo ad arricchirvi, tradendo la fiducia di un amico e credete che tutti siano capaci di bassezze, di turpitudini come lo siete voi. Uccidetemi pure ma non vi ricaverete nulla perché mia moglie non vi potrà rispondere al telefono."
Ma non feci a tempo a eseguire il mio progetto perché i pescatori passarono alla fase esecutiva e mi sentii, di botto, sollevato in aria per le braccia e per i piedi, mentre a mo' di canto funebre, dicevano, a una voce, "Oh! Issa!” Un attimo dopo ero ancora inscatolato. Ma prima che la botte fosse sigillata, facendomi da bara, gridai:
"Un attimo, per favore. Aspettate, devo farvi una proposta."
I tre si arrestarono stupiti e imbarazzati. Avevano fatto conto sulla rapidità dell'esecuzione. Speravano che non avrei fatto a tempo a svegliarmi prima di essere rinchiuso per non dover subire il rimprovero degli occhi dell'agnello in procinto di essere sgozzato.
"Sentiamo", disse quello che si era ripreso per primo.
"Voi rischiate di uccidermi inutilmente" dissi.
"Sono cazzi nostri" fece lui, più per abitudine che per convinzione.
"Non potete essere certi che mia moglie sia viva e colpevole", proseguii, "rischiate l'inferno e l'ergastolo per un pugno di monete neanche sicure.”
Feci una pausa per studiare l'effetto delle mie parole su quelle facce cotte dal sole ma alquanto instupidite. Era evidente che la loro impresa era stata esaminata solo dalla parte dei lati positivi ma non erano abituati a ragionare a lunga scadenza.
A quel punto mi detti buone speranze di sopravvivenza.
"Dai, tiratemi fuori che ne parliamo con comodo"
"Non fare il furbo, sai che noi siamo più lesti di te e se scappi ti riacchiappiamo in un minuto"
"E chi vuole scappare?" dissi.



Ci sedemmo in circolo e sembravamo di nuovo un gruppo di amici, piacevolmente riuniti per quattro chiacchiere e, per la terza volta in poche ore, gustai la felicità di essere semplicemente vivo.
Dissi: "vi propongo una scommessa. Voi pensate che a quest'ora mia moglie se la stia spassando con il suo amante, sicura di essersi sbarazzata di me. Io invece credo che, quando trillerà il telefono nella nostra casa, risponderà un poliziotto, chiamato dai vicini e occupato a fare l'inventario dei pochi oggetti rimasti per gli eredi e a cercare gli indizi per rintracciare gli assassini. Scommettiamo, dunque: se mia moglie risponde, avete vinto voi e avrete di più di quanto pensavate di chiederle perché io vi darò tutte le informazioni sul nostro patrimonio e lei non potrà mentirvi. Poi mi ucciderete, tanto sono nelle vostre mani. Se vi risponde il poliziotto, ho vinto io e mi dovrete lasciare libero e anche aiutare a rintracciare la ditta della salamoia affinché io possa fare le opportune indagini per ritrovare mia moglie o, almeno, la sua cara salma. Io poi mi impegno a non denunciarvi per quanto volevate fare e anzi a compensarvi lautamente perché, in fondo, vi devo la vita.”
Si consultarono tra loro. Uno disse che di un uomo così babbione ci si poteva fidare e che, comunque, con le scarse probabilità che avevo di vincere, valeva la pena di scommettere.
Mi guardarono tutti con un'ombra di rimorso e di pietà e poi ci stringemmo la mano dopo averci sputato su, come si usava un tempo tra gli uomini d'affari.
Loro si giocavano una fortuna e io mi giocavo la vita.



L'ultimo capitolo di questa storia vorrei poterlo non raccontare ma, ormai, mi sono impegnato e non posso deludere nessuno.
I miei amici pescatori fecero la conta per chi dovesse andare a telefonare. Uno si allontanò e gli altri due rimasero con me.
Passarono il tempo dell'attesa a far progetti su come avrebbero impiegato il denaro. Uno voleva comprarsi una barca più grande per continuare a fare il pescatore perché gli piaceva assai quella vita tra i merluzzi e le sardine. L'altro, invece, aveva le tasche piene della puzza di pesce e della moglie cicciona. Voleva metter su un negozio in un altro paese e rifarsi una vita con qualche bocconcino di primo pelo. Parlavano a bassa voce, con la speranza che io non sentissi perché, benché fossero avidi, rozzi e alquanto stupidi, si rendevano conto che spartirsi così i miei soldi quando io ero ancora vivo non si poteva considerare una manifestazione di buona educazione.
Era quasi buio quando vedemmo spuntare, da lontano, l'uomo che tutti attendavamo con ansia. Camminava molto lentamente come se portasse un peso sulle spalle o come se avesse paura di arrivare troppo presto.
"Ti sta bene" pensavo "così impari a diffidare delle donne."
Gli altri due erano sbigottiti. Dopo tanti sogni era duro rinunciare a tutto e riprendere la vita di tutti i giorni.
Quando arrivò a pochi passi, inaspettatamente, scoppiò a piangere, si buttò in ginocchio e si strappò i capelli.
"Quella puttana", disse, "non sgancerà un centesimo. Ha un alibi di ferro. E noi che stavamo per uccidere questo povero disgraziato cornuto."
Fui uomo come non mi era mai riuscito di essere. Sapevo che, pur avendo perso la scommessa, non mi avrebbero più ucciso: eravamo tutti nella stessa barca.
In fondo, essere vivi dopo tante ore di avventure disastrose non era cosa da poco. E io avevo tanto da fare ancora.
I pescatori mi procurarono un trabiccolo a quattro ruote sul quale caricai la botte. Dissi loro che la volevo per ricordo dell'avventura. Mi strizzarono l'occhio con simpatia.
Ci salutammo come fratelli, abbracciandoci.
Mi dissero: "sono tutte puttane, non se ne salva nessuna, non te la prendere."
Viaggiai tutta la notte perché il trabiccolo aveva gli acciacchi della vecchiaia.
Alle prime luci dell'alba ero a casa. Mia moglie dormiva e feci così piano ad entrare che non mi sentì.
Stetti a lungo a guardarla. Era pur sempre bella ed il suo viso, nel sonno, conservava l'innocenza della prima infanzia.
Poi le diedi un piccolo colpo al centro della testa perché il suo sonno fosse più pesante. L'adagiai quindi nella botte con delicatezza. Sigillai il coperchio con cura. Non avevo ancora deciso dove l'avrei spedita perché mi mancavano alcuni dati.
Mi guardai intorno cercando l'ultima risposta in giro per la camera. La risposta era sul comò. Al posto della "nostra" foto in abito di nozze, c'era un ingrandimento di suo cugino Jonny in divisa da ufficiale.
Quella faccia da mammalucco! Sputai sul vetro senza odio né rancore, solo schifo.
"Se hai pazienza due giorni, ti arriva" gli dissi. Poi corsi con la mia macchina all'ufficio postale e spedii la botte. Sull'etichetta c'era scritto "Acciughe in salamoia".
Seppi poi dal giornale che gli era arrivata ancora calda perché la botte era bucata e aveva potuto sopravvivere a lungo, giusto il tempo per provare ciò che avevo provato io e magari pure per pentirsi almeno un poco.
Quanto a me, ho recuperato gran parte dei miei averi e ho preso l'aereo per Santo Domingo, dove vivo piuttosto bene.
Il caso misterioso della donna in salamoia e del marito scomparso ha appassionato per anni la stampa che si è sperticata in ipotesi fantasiose ma la verità la conosciamo soltanto io, il povero Jonny e i miei amici pescatori ai quali invio, di tanto in tanto, una cartolina con i miei saluti più affettuosi.

2Acciughe in salamoia Empty Re: Acciughe in salamoia Gio Gen 14, 2021 8:03 pm

Genoveffa Frau

Genoveffa Frau
Master of Horse
Master of Horse

Come dice il detto chi la fa l'aspetti, di certo la moglie traditrice questo non se lo sarebbe mai aspettato.
Che fine tremenda dentro quella botte, mi sento affogare solo al pensiero!
Bravissima Lycia! What a Face

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