. COMPAGNI DI VIAGGIO
Lo scompartimento aperto del treno sapeva di buccia d’arancia, di piedi e di polvere.
La ragazza, impacciata dal peso di una grossa valigia, si fermò, per un attimo sulla soglia, incerta se entrare o proseguire perché la rapida occhiata ai compagni di viaggio era risultata insoddisfacente. I due sedili vicini al finestrino erano occupati da una famigliola di extracomunitari: un uomo dai capelli ricci ed unti e, di fronte, sua moglie grassa e scura che aveva in braccio un mocciosetto che dormiva. Di fianco alla donna c’era un prete che leggeva un libro e, di fronte a lui, un ragazzo in giacca e cravatta che sembrava lì per sbaglio, in mezzo agli altri.
Fu proprio quest’ultimo ad invitarla a entrare: “Dammi la valigia che te la sistemo su” disse con piglio disinvolto.
La ragazza si rassegnò e si sedette volentieri, perché era stanca, in uno dei due posti vuoti guardandosi in giro per esaminare meglio i compagni di viaggio.
La coppia di magrebini era molto giovane. Lui era quasi bello con lineamenti fini e occhi grandi, neri, luccicanti. Lei aveva la pelle più scura ed era deturpata da una cicatrice sulla guancia che i capelli sciolti e nerissimi non riuscivano a nascondere del tutto. Del bimbo, di circa quattro anni, vedeva solo la testa ricciuta come quella del padre perché dormiva voltato verso il finestrino. Il prete, che non sembrava neppure essersi accorto della sua entrata, continuava a leggere il suo libro come se non potesse staccare gli occhi neppure per un attimo per il grande godimento che gli produceva. Era un tipo molto alto, magrissimo, con le spalle curve. Aveva una tunica piuttosto sporca da cui spuntavano, per parecchi centimetri, dei pantaloni grigi.
La ragazza odiava i preti. In casa sua se ne parlava come di parassiti, ipocriti, anacronistici. “Son proprio capitata bene” pensò “che bella compagnia!”
Per fortuna, c’era il ragazzo che l’aveva aiutata a sistemare la valigia. Non che fosse tutto sto gran che neppure lui ma almeno era una persona “normale” con cui magari si potevano scambiare quattro chiacchiere. Si accorse però, con un certo fastidio, che il ragazzo le guardava le gambe in un modo insistente e sfacciato e per punirlo, dopo essersi tirata nervosamente la gonna verso il basso, appoggiò la testa sul cuscino manifestando l’intenzione di dormire e frustrando così in lui ogni speranza di conversazione e di aggancio.
Si sentiva irritata con se stessa per essere entrata lì, con quell’odore insopportabile e quei compagni di viaggio per cui non provava nessuna simpatia. Ricordava di avere fatto, in passato, viaggi piacevoli con gente per bene con la quale aveva intrattenuto rapporti di amicizia. Una volta aveva avuto pure un’avventura con un uomo molto distinto e affascinante che era sceso alla sua stazione.
A lei piaceva molto conversare di argomenti culturali. Ma questa volta le sarebbe toccato di far finta di dormire per tutto il viaggio.
Aprì un occhio per controllare se il ragazzo la guardasse ancora, ma lui aveva preso in mano una rivista e la sfogliava distrattamente, forse deluso dal suo atteggiamento di chiusura.
Pentita di essersi preclusa l’unica possibilità di conversazione lo interpellò:
“Hai, per caso, un orario ferroviario?”
Il ragazzo, felice, si affrettò a rispondere che non l’aveva ma che sarebbe potuto andare a cercarlo.
Ma il prete estrasse da una tasca della tonaca un libretto spiegazzato e glielo porse guardandola, per un attimo, con due occhi molto, molto azzurri e bellissimi.
Lei si mise a consultare l’orario per controllare certe coincidenze che le interessavano.
Il ragazzo, intanto, si era fatto coraggio e le aveva chiesto dove sarebbe scesa, constatando poi, con molta soddisfazione, che si trattava proprio della sua fermata.
Si avviò così tra loro una conversazione animata, nel corso della quale scoprirono anche di avere alcune conoscenze in comune.
Parlavano a ruota libera, incuranti degli altri passeggeri, distanti mille miglia dal loro mondo di ragazzi colti, benestanti, felici.
Il prete faceva finta di non sentire tutte quelle banalità che lo urtavano. La donna, invece, li guardava alternativamente, affascinata da quel mondo dorato di feste, di viaggi, di campi da sci che le veniva sciorinato davanti senza nessuna comprensione per la sua miseria. Non provava alcuna invidia né rancore ma solo curiosità e una ingenua ammirazione per la bellezza, l’eleganza, la finezza, la scioltezza di parola dei due giovani che avevano circa la sua età ma che le sembravano esseri di un altro pianeta.
Ad un tratto la donna, che era incinta, fu presa da un conato di vomito che la fece impallidire. Si alzò subito in piedi, timorosa di fare dei disastri ed intenzionata ad uscire subito nel corridoio. Ma, impacciata dall’abbraccio del bambino che si era svegliato piagnucolando, non fece a tempo e vomitò nella propria mano e, in minima parte, sulle scarpe verniciate della ragazza.
Fu un attimo di panico per tutti. Il prete le prese il bimbo, incoraggiando il marito a uscire con lei per assisterla.
Il giovanotto, con il viso atteggiato al disprezzo, disse: “Che schifo! Che gente!” Il prete lo fulminò con un lampo azzurro dei suoi occhi. La ragazza contemplava le scarpe insudiciate senza trovare il coraggio di chinarsi a pulirle. Il ragazzo le porse un pacco di fazzoletti di carta ripetendo ancora: “Gentaglia!”
Il bimbo, in braccio al prete, piangeva invocando la madre. Il prete lo cullava amorosamente, appoggiando la faccina molle di pianto contro la sua tonaca.
“Stai buono piccolino che adesso la mamma viene”.
La ragazza si pulì finalmente le scarpe imbarazzata. Però il modo di fare del giovanotto non le era piaciuto. Si vergognava di fronte al prete per quelle parole cattive alle quali lei non si sentiva di aderire.
“Povera donna” pensava “chissà come sta male...”
Per far vedere al prete che stava dalla sua parte, estrasse dalla borsetta una caramella e la diede al bambino che subito smise di piangere.
Il prete la guardò riconoscente e amichevole.
Il bambino, succhiando avidamente la caramella, le tese le braccine scure per farsi prendere in braccio. Ma il prete se lo tenne stretto e gli disse “Non devi dar fastidio alla signorina”.
Ma la signorina ormai era intenerita e lo prese sulle sue ginocchia e, tenendolo per le mani, lo fece trottare velocemente schioccando la lingua.
Il prete, dagli occhi azzurri e dalla tonaca bisunta, li guardava estasiato.
Il giovanotto sembrava offeso e uscì a fumare una sigaretta in corridoio
. Poco dopo, rientrarono padre e madre e restarono sorpresi. Il bambino non se ne voleva più andare da quelle ginocchia affascinanti e rideva, rideva felice.
“Lo lasci pure a me, signora” disse la ragazza accaldata e sorridente.” è così carino!”
Poi il bimbo le si addormentò tra le braccia e lì rimase per tutto il viaggio
Lo scompartimento aperto del treno sapeva di buccia d’arancia, di piedi e di polvere.
La ragazza, impacciata dal peso di una grossa valigia, si fermò, per un attimo sulla soglia, incerta se entrare o proseguire perché la rapida occhiata ai compagni di viaggio era risultata insoddisfacente. I due sedili vicini al finestrino erano occupati da una famigliola di extracomunitari: un uomo dai capelli ricci ed unti e, di fronte, sua moglie grassa e scura che aveva in braccio un mocciosetto che dormiva. Di fianco alla donna c’era un prete che leggeva un libro e, di fronte a lui, un ragazzo in giacca e cravatta che sembrava lì per sbaglio, in mezzo agli altri.
Fu proprio quest’ultimo ad invitarla a entrare: “Dammi la valigia che te la sistemo su” disse con piglio disinvolto.
La ragazza si rassegnò e si sedette volentieri, perché era stanca, in uno dei due posti vuoti guardandosi in giro per esaminare meglio i compagni di viaggio.
La coppia di magrebini era molto giovane. Lui era quasi bello con lineamenti fini e occhi grandi, neri, luccicanti. Lei aveva la pelle più scura ed era deturpata da una cicatrice sulla guancia che i capelli sciolti e nerissimi non riuscivano a nascondere del tutto. Del bimbo, di circa quattro anni, vedeva solo la testa ricciuta come quella del padre perché dormiva voltato verso il finestrino. Il prete, che non sembrava neppure essersi accorto della sua entrata, continuava a leggere il suo libro come se non potesse staccare gli occhi neppure per un attimo per il grande godimento che gli produceva. Era un tipo molto alto, magrissimo, con le spalle curve. Aveva una tunica piuttosto sporca da cui spuntavano, per parecchi centimetri, dei pantaloni grigi.
La ragazza odiava i preti. In casa sua se ne parlava come di parassiti, ipocriti, anacronistici. “Son proprio capitata bene” pensò “che bella compagnia!”
Per fortuna, c’era il ragazzo che l’aveva aiutata a sistemare la valigia. Non che fosse tutto sto gran che neppure lui ma almeno era una persona “normale” con cui magari si potevano scambiare quattro chiacchiere. Si accorse però, con un certo fastidio, che il ragazzo le guardava le gambe in un modo insistente e sfacciato e per punirlo, dopo essersi tirata nervosamente la gonna verso il basso, appoggiò la testa sul cuscino manifestando l’intenzione di dormire e frustrando così in lui ogni speranza di conversazione e di aggancio.
Si sentiva irritata con se stessa per essere entrata lì, con quell’odore insopportabile e quei compagni di viaggio per cui non provava nessuna simpatia. Ricordava di avere fatto, in passato, viaggi piacevoli con gente per bene con la quale aveva intrattenuto rapporti di amicizia. Una volta aveva avuto pure un’avventura con un uomo molto distinto e affascinante che era sceso alla sua stazione.
A lei piaceva molto conversare di argomenti culturali. Ma questa volta le sarebbe toccato di far finta di dormire per tutto il viaggio.
Aprì un occhio per controllare se il ragazzo la guardasse ancora, ma lui aveva preso in mano una rivista e la sfogliava distrattamente, forse deluso dal suo atteggiamento di chiusura.
Pentita di essersi preclusa l’unica possibilità di conversazione lo interpellò:
“Hai, per caso, un orario ferroviario?”
Il ragazzo, felice, si affrettò a rispondere che non l’aveva ma che sarebbe potuto andare a cercarlo.
Ma il prete estrasse da una tasca della tonaca un libretto spiegazzato e glielo porse guardandola, per un attimo, con due occhi molto, molto azzurri e bellissimi.
Lei si mise a consultare l’orario per controllare certe coincidenze che le interessavano.
Il ragazzo, intanto, si era fatto coraggio e le aveva chiesto dove sarebbe scesa, constatando poi, con molta soddisfazione, che si trattava proprio della sua fermata.
Si avviò così tra loro una conversazione animata, nel corso della quale scoprirono anche di avere alcune conoscenze in comune.
Parlavano a ruota libera, incuranti degli altri passeggeri, distanti mille miglia dal loro mondo di ragazzi colti, benestanti, felici.
Il prete faceva finta di non sentire tutte quelle banalità che lo urtavano. La donna, invece, li guardava alternativamente, affascinata da quel mondo dorato di feste, di viaggi, di campi da sci che le veniva sciorinato davanti senza nessuna comprensione per la sua miseria. Non provava alcuna invidia né rancore ma solo curiosità e una ingenua ammirazione per la bellezza, l’eleganza, la finezza, la scioltezza di parola dei due giovani che avevano circa la sua età ma che le sembravano esseri di un altro pianeta.
Ad un tratto la donna, che era incinta, fu presa da un conato di vomito che la fece impallidire. Si alzò subito in piedi, timorosa di fare dei disastri ed intenzionata ad uscire subito nel corridoio. Ma, impacciata dall’abbraccio del bambino che si era svegliato piagnucolando, non fece a tempo e vomitò nella propria mano e, in minima parte, sulle scarpe verniciate della ragazza.
Fu un attimo di panico per tutti. Il prete le prese il bimbo, incoraggiando il marito a uscire con lei per assisterla.
Il giovanotto, con il viso atteggiato al disprezzo, disse: “Che schifo! Che gente!” Il prete lo fulminò con un lampo azzurro dei suoi occhi. La ragazza contemplava le scarpe insudiciate senza trovare il coraggio di chinarsi a pulirle. Il ragazzo le porse un pacco di fazzoletti di carta ripetendo ancora: “Gentaglia!”
Il bimbo, in braccio al prete, piangeva invocando la madre. Il prete lo cullava amorosamente, appoggiando la faccina molle di pianto contro la sua tonaca.
“Stai buono piccolino che adesso la mamma viene”.
La ragazza si pulì finalmente le scarpe imbarazzata. Però il modo di fare del giovanotto non le era piaciuto. Si vergognava di fronte al prete per quelle parole cattive alle quali lei non si sentiva di aderire.
“Povera donna” pensava “chissà come sta male...”
Per far vedere al prete che stava dalla sua parte, estrasse dalla borsetta una caramella e la diede al bambino che subito smise di piangere.
Il prete la guardò riconoscente e amichevole.
Il bambino, succhiando avidamente la caramella, le tese le braccine scure per farsi prendere in braccio. Ma il prete se lo tenne stretto e gli disse “Non devi dar fastidio alla signorina”.
Ma la signorina ormai era intenerita e lo prese sulle sue ginocchia e, tenendolo per le mani, lo fece trottare velocemente schioccando la lingua.
Il prete, dagli occhi azzurri e dalla tonaca bisunta, li guardava estasiato.
Il giovanotto sembrava offeso e uscì a fumare una sigaretta in corridoio
. Poco dopo, rientrarono padre e madre e restarono sorpresi. Il bambino non se ne voleva più andare da quelle ginocchia affascinanti e rideva, rideva felice.
“Lo lasci pure a me, signora” disse la ragazza accaldata e sorridente.” è così carino!”
Poi il bimbo le si addormentò tra le braccia e lì rimase per tutto il viaggio