The Jar of Poetry


Unisciti al forum, è facile e veloce

The Jar of Poetry
The Jar of Poetry
Vuoi reagire a questo messaggio? Crea un account in pochi click o accedi per continuare.
The Jar of Poetry

Forum di scrittura, qui potrai descrivere le tue emozioni con poesie e racconti. Lascia libera l'anima di raccontare chi sei


Non sei connesso Connettiti o registrati

Lettere...

3 partecipanti

Andare in basso  Messaggio [Pagina 1 di 1]

1Lettere... Empty Lettere... Ven Mar 12, 2021 3:44 pm

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

LETTERE

Cara Alda, tua madre è morta questa notte alle tre. Ieri sera stava benissimo, sì, insomma, quasi. Si era toccata il petto due volte, mentre guardavamo la partita di calcio alla tele. Mi ha scaldato il latte, come sempre, e poi è andata a letto alle undici, dopo avermi dato il bacio. Ha detto che era un po’ stanca. “Ma stai bene?” le ho chiesto. “Sì, sì” mi ha risposto “non preoccuparti vecchietto”.
Quando sono andato a letto io, erano le dodici e lei dormiva tranquilla. “Notte, moglie” le ho detto come faccio sempre. Le ho toccato un piede con il mio: era tiepido. Mi sono addormentato subito perché ero stanco anch’io. Alle tre precise, mi sono svegliato all’improvviso come se qualcuno mi avesse chiamato. Ma era tutto buio e silenzio. Eppure, mi sono sentito nel cuore una specie di angoscia, come se sapessi che era successo qualche cosa di brutto. Ho avuto la tentazione di svegliarla per farmi consolare. Ma lei, poverina, era già morta. Non avrebbe mai e poi mai potuto consolarmi. L’ho chiamata, piano, piano, pensando: “se non dorme profondo mi sente”. Ma lei dormiva troppo profondo. Era già troppo lontana da me, troppo irrimediabilmente lontana. Dopo parecchio tempo che stavo sveglio vicino a lei, mi è venuto il bisogno di toccarla.
Era così fredda! Dovevi sentirla! Era fredda come il marmo. Mi sono seduto sul letto con le mani nei capelli. Volevo urlare e non potevo. Ho acceso la luce e l’ho guardata: aveva una ciocca di capelli sulla fronte e, sulla bocca, una specie di sorriso. Era di un bianco abbacinante, quasi luminoso. Sono scoppiato a piangere e mi sono messo una sua mano sul cuore, ma era troppo fredda, troppo, troppo fredda. Non potei resistere a quel contatto. Non era più il suo contatto, non era più la sua mano, non era più lei.
Lei mi ha lasciato per sempre, non tornerà mai più.
Ho farneticato a lungo, come un pazzo, reggendomi il cuore, da fuori, con le mani. Andavo per le stanze cercandola, sperando di stare solo sognando. Mi aspettavo di vederla seduta sull’orlo di una sedia, tutta avvolta nella sua vestaglia, mentre s’infilava in bocca il cucchiaio pieno di pane e latte. Come faceva tutte le mattine, mentre io me la mangiavo con gli occhi, per quell’amore che avevo per lei. Mi pareva anche di sentire la sua voce mentre mi chiamava dalla camera da letto: “dove sei vecchietto mio, torna a dormire che è ancora notte”
Correvo di là, con affanno, sicuro che l’avrei vista, appoggiata sul gomito, sorridente e dolce, come sempre.
Ma lei era morta, capisci? Stesa, immobile, bianca, muta, lontana, lontana. E io dovevo vivere senza di lei. Non potevo sdraiarmi accanto al suo cadavere e attendere la mia morte. Ero vivo. Maledettamente vivo e la mia maledetta vita mi separava da lei.
Attesi il mattino prima di chiamare gente. Chissà, forse aspettavo il miracolo, un pentimento di Dio. Abbiamo scherzato Michele, era solo una prova generale della tragedia. E’ tutto rimandato. Toh! Riprenditi tua moglie e sii felice, ancora qualche anno. Rimanga tra di noi però. Mi raccomando: non andare a raccontarlo. Di solito, non concedo queste proroghe. Alle sette, telefonai a tuo fratello sul cellulare. Era già in giro per i suoi affari. “Vengo subito papà”, mi disse, ma poi, arrivò due ore dopo. Era già venuto il medico dell’ASL a constatare la morte, ed un paio di vicine premurose che mi hanno obbligato a bere un caffè.
Tuo fratello si è occupato di tutto. Ha parlato a lungo con l’impresario di pompe funebri. C’è già il cartello d’annuncio, fuori dal portone, con anche il tuo nome. Domani ci sarà il funerale. Anche se ti avessi telefonato, non avresti fatto a tempo a venire. Perché, dunque, darti questo colpo per telefono? Quando riceverai questa lettera tutto sarà compiuto.
Tua madre, sai, parlava sempre di te, ti aveva nel cuore, ad ogni istante. Sul suo comodino c’è una tua foto di quando eri bambina, in braccio a tuo fratello. La baciava sempre, prima di addormentarsi.
Ti confesso di essere stato sempre un po’ geloso dell’amore che lei aveva per voi figli. Avrei voluto bastarle io, ma aveva sempre una ferita nel cuore che non si rimarginava. Rimpiangeva i suoi bambini: tu così lontana e tuo fratello, tanto assente, tanto indaffarato, tanto preso dai suoi traffici. Viveva aspettando le vostre telefonate e le tue lettere. Sono legate insieme da un nastrino azzurro. Di tanto, in tanto, scioglieva il nastro e le leggeva, asciugandosi le lacrime. Però voleva tant o bene anche a me. Ero il suo grande amore. Perché Dio è tanto crudele da separare quelli che si amano? Che male abbiamo fatto noi due poveri, insignificanti vecchietti? Andavamo pure a Messa alla domenica e ci portavamo il borsellino con le monete per i poveri fuori dalla Chiesa. Che cosa gli costava farci morire insieme? E anche per tuo fratello sarebbe stato pure più comodo occuparsi di tutto in una volta sola.
Mi spaventano tutti quegli anni che dovrò vivere senza di lei. Anche perché non mi importa più niente. Accanto a lei il mondo era un giardino, ora mi appare come un ammasso di sterpaglia.
Perdonami, cara figlia, se ti arreco tanta tristezza, se non riesco a frenare il mio dolore. Se tu fossi qui, mi sgrideresti e mi diresti che bisogna essere forti. Ma io, ormai, sono un povero vecchio, abbandonato e solo. Se tu credi ancora in Dio, pregalo che mi prenda con sé. Abbraccia per me i tuoi cari bambini e credimi il tuo affezionato papà.


Cara Alda, oggi, abbiamo fatto il funerale ai nostri genitori. C’era tanta gente che non puoi neppure immaginare. Chi lo avrebbe mai detto che fossero tanto amati quei due poveri vecchietti? Come ti ho detto per telefono, ho trovato papà con la testa appoggiata sul tavolo, proprio sopra alla lettera che ti allego. La morte lo ha sorpreso dolcemente mentre stava scrivendo.
Credimi, per quanto sia doloroso per noi restare orfani all’improvviso, è una benedizione del Cielo, un atto di amore e di pietà che mi riconcilia con Dio. Nostro padre non poteva stare senza di lei. Invidio la loro sorte di amanti innamorati dal primo all’ultimo giorno delle loro vite. Ho dato ai marmisti la foto del ricordo del loro quarantesimo anniversario. Sono seduti sul divano. Lui la circonda con il suo braccio, lei ha una smorfia timida e felice. Sembrano l’emblema di un’epoca passata.
Non so perché ti racconto queste cose. E’ tanto tempo che non ti scrivo una lettera e che non mi soffermo a pensare. Lo sai come vivo da anni assillato dai debiti. Ne avessi imbroccata una nella vita! Tu, almeno, ti sei fatta una famiglia. Sì, lo so, hai le tue difficoltà, però, bene o male, reggi. Hai i tuoi figli, qualcuno ti vuole bene. Io, invece, non ho alcun punto fermo. C’erano i vecchi all’ultima domenica del mese. Mamma mi preparava la lasagna, con papà si parlava di calcio. Non mi facevano mai domande imbarazzanti. Stavamo seduti tutti e tre sul divano. Mi annoiavo. Loro, invece, erano felici. Mi parlavano sempre di te e dei progressi dei tuoi figli. A mamma splendevano gli occhi ma anche sospirava. Diceva spesso: “Ah! Quella figlia così lontana! Con tutti quei bei ragazzi italiani, proprio dell’australiano si doveva innamorare!”
Giocava tutte le settimane al lotto con la speranza di fare il “colpaccio” per comperare due bei biglietti di aereo, andata e ritorno, per ‘Australia.
Mi si torcono le viscere per il rimorso di non avere fatto nulla per aiutare il suo sogno, quando navigavo in migliori acque. Ho sperperato l’ira di Dio in sciocchezze. Mi sono concesso viaggi ovunque, mentre loro giocavano al lotto per venire da te. Così sono morti senza toccare il viso dei loro nipoti. Anche tu però che promettevi sempre di fare l’improvvisata, un giorno o l’altro! Diciamo la verità: siamo stati dei cattivi figli, dei pessimi figli!
Per quello che mi riguarda, sono un fallimento su tutta la linea. Mi verrebbe la voglia di farla finita. Ho cinquant’anni, mi aspetta il peggio della vita. Non ho più neppure uno straccio di donna, solo compagnie occasionali. Per lo più mercenarie e spesso infruttuose.
Se mi vedi non mi riconosci: non ho più i capelli, ho messo pancia, sono pieno di nei. Quale donna, ormai, potrebbe innamorarsi di me? Ho perso la mia unica occasione dieci anni fa, quando ho lasciato la donna che mi amava perché voleva legarmi a sé. Allora il matrimonio mi pareva una prigione orrenda. Avevo tanta voglia di vivere e di sentirmi libero. Sono libero, è vero, ma di questa libertà non so cosa farne. La mia vera prigione è la noia che mi assale appena smetto di lavorare, di rincorrere i clienti, di strisciare ai loro piedi, odiandoli. Appena entro in casa, mi tolgo le scarpe, accendo il televisore che gracchia nel vuoto per tutta la serata, tolgo dalla tasca il quotidiano che non leggerò e preparo la cena al gatto che mi si struscia contro. Allora mi assale la noia come una moglie insopportabile, della quale non mi posso sbarazzare.
A volte esco, per disperazione, a cercare un ristorante. Dal mio tavolo solitario, osservo gli altri vivere. Parlano e ridono. Recitano la felicità che non possiedono? Chi lo sa? Mi attirano le coppie di giovani: alcuni si amano, si vede. Per loro la sala non esiste più, né i camerieri, né gli spaghetti che fumano nel piatto. Si bevono l’un l’altro, si aspirano, indecentemente, davanti a tutti. Dopo, andranno a consumare, da qualche parte, forse in una squallida macchina, il loro amore ardente.
Invidio quella brama che non ho più, insieme, mi fanno pena. Ben presto si scuoteranno dai capelli la cenere del loro amore. Si ritroveranno un giorno, quasi all’improvviso, un po’ impacciati e un po’ ridicoli, nella loro nudità, non più gloriosa ed esaltante ma misera e fragile. Rileveranno un buco nella calza dell’altra, una macchia di chissà cosa nelle mutande, una smagliatura sul seno, l’odore del sudore.
Ma ancora mi domando: perché mai ti racconto tutte queste cose, piccola sorella tanto lontana? Perché mi umilio senza pudore, davanti a te che un tempo mi ammiravi e cercavi di imitarmi? Un tempo sì remoto, nel quale eravamo felici come uccelli nel giardino di casa. Io sognavo tutte le donne del mondo ai miei piedi. E tu cosa sognavi? Il tuo principe che ti ha portata via? Mamma e papà non sognavano. Vivevano, giorno per giorno, il loro amore. Ci tenevano al caldo. Lui andava a lavorare e, alla sera, era festa quando tornava. Io e te litigavamo per portargli le pantofole. La mamma lo baciava come al primo appuntamento. C’era sempre in casa un odore di minestra, di soffritto, di mele appoggiate sull’armadio a maturare.
Ecco: era quella la felicità ma noi non lo sapevamo. Aspettavamo le grandi occasioni fuori dalla porta, le avventure, chissà quali delizie che avrebbero dovuto accaderci.
E, invece, la felicità era giocare a carte noi quattro e arrabbiarci se perdevamo e uscire con il cane a correre, inseguiti dalla canaglia della zona. E raccontarci i fatti nostri sotto le coperte, con il lenzuolo tirato sulla faccia a proteggerci dai fantasmi e a fantasticare sulle ombre che il filo di luce dal corridoio disegnava sui muri. La felicità arrivava in pantofole tutte le sere alle undici. Aveva una camicia lunga, bianca, pulita e diceva: “Ancora svegli marmocchi? E come ci alziamo domani mattina per andare a scuola?” Poi, c’era il bacio che sapeva di dentifricio alla menta, tra i capelli, sulla fronte o sulle manine.
Ma tu forse sei riuscita a riprodurre tutto questo a casa tua. Forse hai potuto restituire ai tuoi figli la felicità che hai ricevuto.
Per me è tardi, per dare, per ricevere, per correggere la mia vita. Non si torna indietro.
Abbraccia per me i tuoi ragazzi. Parlagli qualche volta del loro zio italiano. Ho bisogno di sapere che qualcuno, magari di sfuggita, pensi a me. Tuo Ivan.

Cara signora Alda, lei non mi conosce. Sono la portiera della casa del suo povero fratello Ivan. La scrivo per suo incarico. Così mi ha detto: quando sarò sepolto avverta mia sorella e mi ha dato il suo indirizzo. Io ho pensato: ma perché mi dice queste cose, non è mica vecchio, ma poi ho capito tutto il giorno dopo quando sono salita da lui al quarto piano per le pulizie. C’era la porta aperta. Ho pensato che forse erano entrati i ladri e sono andata a chiamare mio marito perché avevo paura. Quando siamo entrati, io mi sono messa ad urlare perché suo fratello stava sul tappeto della sala ed era tutto sporco di sangue e, vicino a lui, c‘era una pistola. Sul tavolo c’era una busta indirizzata a me e dentro tanti soldi per pagare il funerale, c’era scritto. E poi, c’era scritto anche che potevo prendere i mobili e tutto quello che volevo perché io ero sempre stata gentile con lui. Così sono scoppiata a piangere e mio marito ha chiamato subito la polizia e mi ha raccomandato di non toccare niente, perché potevano incolparci di qualche cosa. I poliziotti ci hanno fatto tante domande e noi glielo abbiamo detto che il signor Ivan era una brava persona e che forse si era suicidato perché era troppo solo.
Voglio anche dirle che al funerale non c’era troppa gente. Però c’era una signora molto carina e fine, sui quarant’anni circa e ha pianto tanto, proprio come se il signor Ivan fosse stato un suo parente. Però non credo che fosse una parente perché il signor Ivan mi aveva detto che i suoi soli parenti vivevano in Australia. Io non ho preso niente, signora Alda, perché non mi sembrava bello. Solo il gatto mi sono presa, povera bestia. La Polizia ha sigillato l’appartamento. Vedrà lei, che è sua sorella, che cosa vorrà fare. Se verrà qui, ci potremo conoscere. Intanto le faccio le mie condoglianze e le mando anche un foglio del giornale con la notizia della morte. Il giornalista voleva sapere da me delle notizie sulla vita, ma io non gli ho detto niente, solo che era una brava persona e che, a Natale, mi regalava sempre un panettone.
Così la saluto. Maria Brodolini sposata in Giletti

2Lettere... Empty Re: Lettere... Ven Mar 12, 2021 5:25 pm

Giancarlo Gravili

Giancarlo Gravili
Admin Master & Commander
Admin Master & Commander

La vera protagonista del racconto é Alda ed é il fulcro per raccontare tre storie commoventi. L'amore infinito tra due persone anziane e il dono di morire quasi insieme e poi la descrizione della quotidianità e un mondo che non C'ë piú. storia che commuove così come quella del figlio Ivan descritto nella situazione che molti cinquantenni vivono e qua rientra la solitudine sociale del maschio e il legame forte con mamma e papà. In definitiva l'unica sopravvisuta è forse la piú forte ma anche la piú estranea al gruppo familiare che nella morte ha dimostrato la saldissima unione.

A Licia piace questo messaggio.

https://thejarofpoetry.forumattivo.com

3Lettere... Empty Re: Lettere... Ven Mar 12, 2021 5:39 pm

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

Bel commento che testimonia attenta lettura e apprezzamento.

4Lettere... Empty Re: Lettere... Ven Mar 12, 2021 8:34 pm

Genoveffa Frau

Genoveffa Frau
Master of Horse
Master of Horse

Non mi piace pensare alla morte che tu hai descritto con meticolosa precisione, specialmente il suicidio, un atto orrendo che non riesco a concepire.
Tre lutti in famiglia, un bel colpo per Alda, cosi lontana.
la vita è proprio un soffio , basta un niente  a portartela via, bel racconto incoraggiante Very Happy

5Lettere... Empty Re: Lettere... Sab Mar 13, 2021 7:29 am

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

Genoveffa Frau ha scritto:Non mi piace pensare alla morte che tu hai descritto con meticolosa precisione, specialmente il suicidio, un atto orrendo che non riesco a concepire.
Tre lutti in famiglia, un bel colpo per Alda, cosi lontana.
la vita è proprio un soffio , basta un niente  a portartela via, bel racconto incoraggiante Very Happy
Cari amici vi chiedo perdono di parlare spesso di morte ma la morte è talmente collegata con l'amore che non posso farne a meno. Il pensiero della morte ci fa gustare la vita senza sprecarne neppure una goccia. Ci fa sperare nell'oltre, quel luogo dove tutti ci ritroveremo.
Questo triste racconto, del quale vado orgogliosa, prende a prestito tre diversi modelli di vita per proclamare l'importanza dell'amarsi. La lettura dei miei racconti è impegnativa perché induce la riflessione sui temi importanti della vita.

Contenuto sponsorizzato



Torna in alto  Messaggio [Pagina 1 di 1]

Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.