Lo Sgrammaturgo di Bakkersville
Essere o non essere, to be or not to be.
Non so se sia meglio un tubo o due tubi o tre tubi o quattro tubi o cinque tubi o sei tubi.
Non capisco un tubo di te, teschio meschino che mi guardi mentre t’infilo un dito nella cavità dell’occhio.
E pettinati quel cranio pelato che mi sembri un morto! Poi parleremo dell’essenza.
Qual essere può dire di non essere nella sua essenza?
Qual è l'essenza se misero mi ritrovo in questo stanzino vuoto del teatro.
«Geodolinda portami una tazza di tette e limoniamo lingua a lingua prima dello spettacolo»
«Maestro sei vecchio e con te non limono, fatti Camomilla, quella del guardaroba»
Misero...
Ah, me misero.
Come è triste la vita e come è duro recitare la vita stessa quando la vecchiaia ci circoncide le parti intime e copiosamente scendono così sul foglio le mie lacrime...
Ma poi sto copione non lo accapisco e nonno me lo arricordo
Oh misero, misero me
Me misero 'na dentaura nova che abbi perduto gli denti in una caduta di supra lo palco e mi sono finisciuto assobbra lorchestrale che assuonava la tromba.
Insomma me ano trombato.
Lo miedico mi additto de fare 'na pane e ramica dela arcata superiore.
Ma ame istesso immedesimo non mi appiace pane e ramica, ma poi non assaggio manco accosa è.
In somma ammò che attengo questa dentitura nova e lo sorriso me aspacca la faccia nessuno sviene a vedere li mi spettaculi.
E poi come cavolo sto apparlando ora, perché non forma aulica esce dale mialabbra che parro uno sconquinato senza coltura e senzia studi, cosa mi assuccede?
Me misero, me misero…
Me misero puro duo dentici de argento smaltito piombo che non si allevano manco colla bomba monoclonale.
Abbabene me mi sono addito, faro un successione co sta facca bella nova, e infeci mi assuono ritrombato a recitare davanzale a una platessa che annuncè.
Eppuro sono lo ammigliore attorre drammaspurgo in cir colazione. Quanno che abbi essuto giovine tutti mi avvolevano un bene tanto tanto morto.
Ma io abbi essere anca morto petardo e non ammollo per nulla.
Me arrimetto avere di scrivere subitamente una ntrama illirica ellenica sulla morte di Enea nella centrale Enel di Troia.
Vetranno accome suono grande. Ascrittore, scienegiàtore e pure anche bavissimo attorre.
Ma in somma come accavolo apparlo, io che calcai le sceneggiate di tutto il mondo, io omino di scultura illimitata e imitata, chi fubbe che mi perpetrò tale maledicione?
Fubbi tu brutto techione d’osso sfatto?
«Oh teschio conrutto di omo dissapiens.
Apparlami dite, chi fubbi te, ca assenza o culi mi agguardi disgorgante?
Chi sei dallo liscio bosso che levi e gato senza le palle parete che abbi appiù vita dela mia?
Ardunque apparla a me che assenza vita sogno più dite?
Perché non apparli? Perché mi l'asci nel dubuoi irrisoldo.
Ora e dunque arrispondami allo squisito che ti appongo!
Non apparli dunque vignacco sfatigato!
Cotardo e vignacco, e io che puro ti attengo in mano.
Ma io te pongo e plastilina nela barra dindove che svieni e la potrebbi apparlare quanto avvorrai cola morte.
Io di me non perdero appiù tempo conte.
Or te seppelisostituisco nella spogliata imprurita terra elà ti acconsumerai nelle vermi avviscide che asgusciano sguscianti de lo inferro profonto»
Beh, me arisembra uno attimo lavoro mo lo aripubblico.
Sai che in su cesso acclamoroso sul webbe.
Essere o non essere, to be or not to be.
Non so se sia meglio un tubo o due tubi o tre tubi o quattro tubi o cinque tubi o sei tubi.
Non capisco un tubo di te, teschio meschino che mi guardi mentre t’infilo un dito nella cavità dell’occhio.
E pettinati quel cranio pelato che mi sembri un morto! Poi parleremo dell’essenza.
Qual essere può dire di non essere nella sua essenza?
Qual è l'essenza se misero mi ritrovo in questo stanzino vuoto del teatro.
«Geodolinda portami una tazza di tette e limoniamo lingua a lingua prima dello spettacolo»
«Maestro sei vecchio e con te non limono, fatti Camomilla, quella del guardaroba»
Misero...
Ah, me misero.
Come è triste la vita e come è duro recitare la vita stessa quando la vecchiaia ci circoncide le parti intime e copiosamente scendono così sul foglio le mie lacrime...
Ma poi sto copione non lo accapisco e nonno me lo arricordo
Oh misero, misero me
Me misero 'na dentaura nova che abbi perduto gli denti in una caduta di supra lo palco e mi sono finisciuto assobbra lorchestrale che assuonava la tromba.
Insomma me ano trombato.
Lo miedico mi additto de fare 'na pane e ramica dela arcata superiore.
Ma ame istesso immedesimo non mi appiace pane e ramica, ma poi non assaggio manco accosa è.
In somma ammò che attengo questa dentitura nova e lo sorriso me aspacca la faccia nessuno sviene a vedere li mi spettaculi.
E poi come cavolo sto apparlando ora, perché non forma aulica esce dale mialabbra che parro uno sconquinato senza coltura e senzia studi, cosa mi assuccede?
Me misero, me misero…
Me misero puro duo dentici de argento smaltito piombo che non si allevano manco colla bomba monoclonale.
Abbabene me mi sono addito, faro un successione co sta facca bella nova, e infeci mi assuono ritrombato a recitare davanzale a una platessa che annuncè.
Eppuro sono lo ammigliore attorre drammaspurgo in cir colazione. Quanno che abbi essuto giovine tutti mi avvolevano un bene tanto tanto morto.
Ma io abbi essere anca morto petardo e non ammollo per nulla.
Me arrimetto avere di scrivere subitamente una ntrama illirica ellenica sulla morte di Enea nella centrale Enel di Troia.
Vetranno accome suono grande. Ascrittore, scienegiàtore e pure anche bavissimo attorre.
Ma in somma come accavolo apparlo, io che calcai le sceneggiate di tutto il mondo, io omino di scultura illimitata e imitata, chi fubbe che mi perpetrò tale maledicione?
Fubbi tu brutto techione d’osso sfatto?
«Oh teschio conrutto di omo dissapiens.
Apparlami dite, chi fubbi te, ca assenza o culi mi agguardi disgorgante?
Chi sei dallo liscio bosso che levi e gato senza le palle parete che abbi appiù vita dela mia?
Ardunque apparla a me che assenza vita sogno più dite?
Perché non apparli? Perché mi l'asci nel dubuoi irrisoldo.
Ora e dunque arrispondami allo squisito che ti appongo!
Non apparli dunque vignacco sfatigato!
Cotardo e vignacco, e io che puro ti attengo in mano.
Ma io te pongo e plastilina nela barra dindove che svieni e la potrebbi apparlare quanto avvorrai cola morte.
Io di me non perdero appiù tempo conte.
Or te seppelisostituisco nella spogliata imprurita terra elà ti acconsumerai nelle vermi avviscide che asgusciano sguscianti de lo inferro profonto»
Beh, me arisembra uno attimo lavoro mo lo aripubblico.
Sai che in su cesso acclamoroso sul webbe.