IL MISTERO DELLA CAMERA MORTUARIA
I fatti che vado a raccontare risalgono a molti anni fa.
Per quanto mi riguarda, avrei preferito non darne il resoconto perché il parlarne m’imbarazza parecchio e so di non avere molte probabilità di essere considerata una persona veritiera. Ma i pochi intimi con i quali mi sono confidata, insistono perché io non privi quanti vorranno crederci di una conoscenza di fatti insoliti che possono aprire orizzonti inaspettati, conturbanti ma anche interessanti.
Ero diplomata da poco quando sono stata assunta come infermiera professionale presso un grande ospedale milanese di cui non faccio il nome per motivi di riservatezza. Proprio in quei giorni circolavano, segretamente, delle voci circa uno “strano fatto” che sarebbe accaduto alla camera mortuaria. Pareva fosse sparito il cadavere di un uomo al quale era stata praticata da poco un’autopsia. Sempre le stesse voci riferivano che la Direzione Sanitaria avrebbe fatto un’inchiesta per accertare le responsabilità ma poi la cosa sarebbe finita lì senza denunce alla Magistratura trattandosi del cadavere di un barbone senza parenti e che quindi nessuno avrebbe in seguito reclamato.
Certo le supposizioni si sprecavano: dal macabro scherzo, al traffico d’organi, al maniaco necrofilo, ognuno diceva la sua.
Come sempre succede in questi casi, dopo un po' di tempo, le voci erano cessate e ognuno era tornato ai pettegolezzi d’ordinaria amministrazione.
Non ci avrei pensato più neanch’io se un giorno una mia collega che lavorava in Pronto Soccorso non mi avesse raccontato un altro fatto anomalo. Quella mattina i lettighieri della Croce Rossa avevano scaricato, nel corridoio del Pronto Soccorso, uno strano uomo, certo un barbone, trovato semi-svenuto su di una panchina di un giardino pubblico. La mia collega lo aveva spogliato in attesa che il medico di turno lo visitasse. Il corpo dell’uomo era attraversato, in verticale, da un taglio che andava dalla gola all’inguine e che pareva essere stato ricucito da poco e, per così dire, in molta fretta, con certi puntacci che nessun chirurgo avrebbe mai messo in camera operatoria. Ma il fatto ancora più inquietante era che, nell’attimo in cui la mia collega si era voltata per cercare l’apparecchio della pressione, l’uomo era sceso dal lettino e si era dileguato in perfetto silenzio.
Qualcuno potrebbe dire che non ci fossero sufficienti dati per mettere in relazione il barbone del Pronto Soccorso, malconcio ma vivo, con il cadavere scomparso, ed avrebbe ragione. Ma un altro episodio, accaduto due giorni dopo, non poteva lasciare dubbi.
La caposala del reparto nel quale il barbone deceduto era stato a suo tempo ricoverato, aveva in custodia un fagottello che conteneva i miseri averi di uno che vive di elemosina: la foto, unta e bisunta di una donna, un pacchetto di sigarette a metà, una carta d’identità scaduta, un buono mensa dell’Ente Comunale di Assistenza, poche lirette ed una maglietta a righe. Il fagottello era chiuso a chiave in un armadio in attesa che, non si sa mai, qualcuno prima o poi lo reclamasse. La chiave, in un’unica copia, era a sua volta nella tasca del grembiule della caposala. Questa, aprendo l’armadio, si era accorta, con grande stupore, che il fagotto era sparito e al suo posto c’era un biglietto sul quale erano vergate, con una grafia di persona semianalfabeta, le seguenti parole: “ Mi riprendo le mie robe. Tanti saluti da....”. Seguiva la firma.
Si possono fare tante ipotesi e ognuno è libero di pensarla come vuole.
Quanto a me, quando rientravo in convitto infermiere, alla sera tardi, mi voltavo sempre indietro per vedere se qualcuno mi seguisse e più di una volta mi è sembrato di sentire uno scalpiccio di passi, un po' strascicati come di una persona molto stanca e non del tutto viva.
I fatti che vado a raccontare risalgono a molti anni fa.
Per quanto mi riguarda, avrei preferito non darne il resoconto perché il parlarne m’imbarazza parecchio e so di non avere molte probabilità di essere considerata una persona veritiera. Ma i pochi intimi con i quali mi sono confidata, insistono perché io non privi quanti vorranno crederci di una conoscenza di fatti insoliti che possono aprire orizzonti inaspettati, conturbanti ma anche interessanti.
Ero diplomata da poco quando sono stata assunta come infermiera professionale presso un grande ospedale milanese di cui non faccio il nome per motivi di riservatezza. Proprio in quei giorni circolavano, segretamente, delle voci circa uno “strano fatto” che sarebbe accaduto alla camera mortuaria. Pareva fosse sparito il cadavere di un uomo al quale era stata praticata da poco un’autopsia. Sempre le stesse voci riferivano che la Direzione Sanitaria avrebbe fatto un’inchiesta per accertare le responsabilità ma poi la cosa sarebbe finita lì senza denunce alla Magistratura trattandosi del cadavere di un barbone senza parenti e che quindi nessuno avrebbe in seguito reclamato.
Certo le supposizioni si sprecavano: dal macabro scherzo, al traffico d’organi, al maniaco necrofilo, ognuno diceva la sua.
Come sempre succede in questi casi, dopo un po' di tempo, le voci erano cessate e ognuno era tornato ai pettegolezzi d’ordinaria amministrazione.
Non ci avrei pensato più neanch’io se un giorno una mia collega che lavorava in Pronto Soccorso non mi avesse raccontato un altro fatto anomalo. Quella mattina i lettighieri della Croce Rossa avevano scaricato, nel corridoio del Pronto Soccorso, uno strano uomo, certo un barbone, trovato semi-svenuto su di una panchina di un giardino pubblico. La mia collega lo aveva spogliato in attesa che il medico di turno lo visitasse. Il corpo dell’uomo era attraversato, in verticale, da un taglio che andava dalla gola all’inguine e che pareva essere stato ricucito da poco e, per così dire, in molta fretta, con certi puntacci che nessun chirurgo avrebbe mai messo in camera operatoria. Ma il fatto ancora più inquietante era che, nell’attimo in cui la mia collega si era voltata per cercare l’apparecchio della pressione, l’uomo era sceso dal lettino e si era dileguato in perfetto silenzio.
Qualcuno potrebbe dire che non ci fossero sufficienti dati per mettere in relazione il barbone del Pronto Soccorso, malconcio ma vivo, con il cadavere scomparso, ed avrebbe ragione. Ma un altro episodio, accaduto due giorni dopo, non poteva lasciare dubbi.
La caposala del reparto nel quale il barbone deceduto era stato a suo tempo ricoverato, aveva in custodia un fagottello che conteneva i miseri averi di uno che vive di elemosina: la foto, unta e bisunta di una donna, un pacchetto di sigarette a metà, una carta d’identità scaduta, un buono mensa dell’Ente Comunale di Assistenza, poche lirette ed una maglietta a righe. Il fagottello era chiuso a chiave in un armadio in attesa che, non si sa mai, qualcuno prima o poi lo reclamasse. La chiave, in un’unica copia, era a sua volta nella tasca del grembiule della caposala. Questa, aprendo l’armadio, si era accorta, con grande stupore, che il fagotto era sparito e al suo posto c’era un biglietto sul quale erano vergate, con una grafia di persona semianalfabeta, le seguenti parole: “ Mi riprendo le mie robe. Tanti saluti da....”. Seguiva la firma.
Si possono fare tante ipotesi e ognuno è libero di pensarla come vuole.
Quanto a me, quando rientravo in convitto infermiere, alla sera tardi, mi voltavo sempre indietro per vedere se qualcuno mi seguisse e più di una volta mi è sembrato di sentire uno scalpiccio di passi, un po' strascicati come di una persona molto stanca e non del tutto viva.