I dialoghi
Semplice il cammino.
M'attendeva da molto...
Ora che dentro di me ben poco rimaneva dello scrittore che fu, m'accorsi della ricchezza posseduta in passato e lieve fu il dolore della mancanza o fine che dir si voglia.
Fine che spaventa e non accontenta mai, eppure arriva come un sussurro al cuore d'una voce amica.
Per non sentirmi finito cominciai a passeggiare in riva al fiume dei ricordi,
solo nella solitudine e mi raccomando non sperate d'aver compagnia nella fine, non la concede mai, a nessuno, altrimenti non sentiresti l'unicità della vita. Della tua vita.
Già unicità che connota ma non denota e spesso corrode l'anima.
Era vero... chi l'avrebbe mai detto, passeggiavo senza meta, fischiettando al vento le mie stupide storielle. Finalmente libero dalla scrittura, senza complessi di sorta, senza quella complessa e contorta visione delle cose, che imbriglia il capire in stupidi canoni.
Nella raminga esperienza del vagare incontrai un persona sincera, discreta, semplicemente normale nella sua complessità. Oh sì, era complessa e anche dal forte carattere, eppure forte in lei era quel senso strano della vita che sempre dipinge i matti e i veri savi nell'esistenza sono sempre i più matti.
Incrociammo gli sguardi e vedendo libera una panchina sull'argine del mondo decidemmo di sederci.
Non sapevamo che quella era la panchina preferita dai vecchi camminatori del tempo. In ogni caso nel vocabolario delle discussioni che nacquero fra noi la parola vecchio non esisteva; esisteva invece il dialogo curioso e affettuoso della gentilezza interiore. Alla malora, pensai, la moderna assonanza di esistenzialismo, evviva la semplice e discreta voglia di conoscersi.
Parlammo a lungo di passioni, di poesie, di vita quotidiana.
Parlammo... e questo fu il più semplice ed entusiasmante miracolo al mondo: quel miracolo chiamato parola, la parola dell'Amore.
Da quei dialoghi nacquero fantastiche storie e frasi si composero in trame d'anima, divenendo esse stesse anime leggere e sensibili.
Insomma su quella panchina, beh ognuno può continuare la frase come crede.
Passò tanto tempo e inesorabile arrivò l'inverno del cuore, ma sempre incontravo quella persona nella nostra panchina colorata e i dialoghi riempivano i minuti, le ore e i giorni interi.
Allora finalmente compresi il valore dell'uomo, compresi cosa bisognava fare per dirsi vivi, per sentirsi vivi.
Purtroppo la strada chiamata vita finisce e così venne il giorno in cui al nostro solito posto, sulla panchina colorata, non vi fu più nessuno e nemmeno la panchina si trovò più, seppi poi che era stata sostituita da una pista ciclabile.
Nel prato accanto molti bambini giocavano, senza sapere del tempo, senza conoscere, senza l'assillo di sedersi su una panchina colorata: quello lo lasciamo ai vecchi.
Nell'aria s'udivano strane voci che raccontavano e ridevano, ridevano così tanto, ma non potevano essere udite da alcuno.
Un libro dorato poggiato in terra godeva dei primi raggi caldi d'aprile e io 'osservavo con curiosità...
Non sono ancora abituato a queste ali, ma lo farò, datemi un po' di tempo e lo farò.
Che stupido, ma io ho tutto il tempo che voglio ora e poi... quella laggiù è la mia amica che mi aspetta, si è proprio lei, che gioia! Potremo riprendere i nostri dialoghi, volo!
«Dimenticavo io sono Gian e quella è la mia amica Licia.
Oh... scusate dovrei dire ero Gian, ma sì, non soffermiamoci su queste sottigliezze e poi la vita non è un sottile filo di luce che ci lega all'universo?»
Semplice il cammino.
M'attendeva da molto...
Ora che dentro di me ben poco rimaneva dello scrittore che fu, m'accorsi della ricchezza posseduta in passato e lieve fu il dolore della mancanza o fine che dir si voglia.
Fine che spaventa e non accontenta mai, eppure arriva come un sussurro al cuore d'una voce amica.
Per non sentirmi finito cominciai a passeggiare in riva al fiume dei ricordi,
solo nella solitudine e mi raccomando non sperate d'aver compagnia nella fine, non la concede mai, a nessuno, altrimenti non sentiresti l'unicità della vita. Della tua vita.
Già unicità che connota ma non denota e spesso corrode l'anima.
Era vero... chi l'avrebbe mai detto, passeggiavo senza meta, fischiettando al vento le mie stupide storielle. Finalmente libero dalla scrittura, senza complessi di sorta, senza quella complessa e contorta visione delle cose, che imbriglia il capire in stupidi canoni.
Nella raminga esperienza del vagare incontrai un persona sincera, discreta, semplicemente normale nella sua complessità. Oh sì, era complessa e anche dal forte carattere, eppure forte in lei era quel senso strano della vita che sempre dipinge i matti e i veri savi nell'esistenza sono sempre i più matti.
Incrociammo gli sguardi e vedendo libera una panchina sull'argine del mondo decidemmo di sederci.
Non sapevamo che quella era la panchina preferita dai vecchi camminatori del tempo. In ogni caso nel vocabolario delle discussioni che nacquero fra noi la parola vecchio non esisteva; esisteva invece il dialogo curioso e affettuoso della gentilezza interiore. Alla malora, pensai, la moderna assonanza di esistenzialismo, evviva la semplice e discreta voglia di conoscersi.
Parlammo a lungo di passioni, di poesie, di vita quotidiana.
Parlammo... e questo fu il più semplice ed entusiasmante miracolo al mondo: quel miracolo chiamato parola, la parola dell'Amore.
Da quei dialoghi nacquero fantastiche storie e frasi si composero in trame d'anima, divenendo esse stesse anime leggere e sensibili.
Insomma su quella panchina, beh ognuno può continuare la frase come crede.
Passò tanto tempo e inesorabile arrivò l'inverno del cuore, ma sempre incontravo quella persona nella nostra panchina colorata e i dialoghi riempivano i minuti, le ore e i giorni interi.
Allora finalmente compresi il valore dell'uomo, compresi cosa bisognava fare per dirsi vivi, per sentirsi vivi.
Purtroppo la strada chiamata vita finisce e così venne il giorno in cui al nostro solito posto, sulla panchina colorata, non vi fu più nessuno e nemmeno la panchina si trovò più, seppi poi che era stata sostituita da una pista ciclabile.
Nel prato accanto molti bambini giocavano, senza sapere del tempo, senza conoscere, senza l'assillo di sedersi su una panchina colorata: quello lo lasciamo ai vecchi.
Nell'aria s'udivano strane voci che raccontavano e ridevano, ridevano così tanto, ma non potevano essere udite da alcuno.
Un libro dorato poggiato in terra godeva dei primi raggi caldi d'aprile e io 'osservavo con curiosità...
Non sono ancora abituato a queste ali, ma lo farò, datemi un po' di tempo e lo farò.
Che stupido, ma io ho tutto il tempo che voglio ora e poi... quella laggiù è la mia amica che mi aspetta, si è proprio lei, che gioia! Potremo riprendere i nostri dialoghi, volo!
«Dimenticavo io sono Gian e quella è la mia amica Licia.
Oh... scusate dovrei dire ero Gian, ma sì, non soffermiamoci su queste sottigliezze e poi la vita non è un sottile filo di luce che ci lega all'universo?»
