La casa di via Lunga.
Notte, spenta negli occhi, accesa nell'apatia d'una giornata trascorsa e non vissuta.
Dondolano le chiavi dalla tasca. Lo scooter mi guarda con aria esterrefatta, forse vorrebbe chiedermi perché lo lascio solo lì, appoggiato a quel marciapiede insulso.
I passi si susseguono inseguendosi a memoria: conoscono la strada.
Desueta abitudine o consuetudine, non saprei dirvi; so solo che è notte, almeno credo se il senso del non senso ha ancora un senso in questa mia vita fatta di controsensi.
Cerco la toppa o le chiavi non distinguendo il grado di utilità dell'una rispetto alle altre.
Penso: dovrei rimettere a posto la mia connessione neuronica per stabilire la consecutio temporis del mio agire. Ho i file in stand by ma l'essere uso alla consuetudine mi aiuta ad agire senza agire.
Finalmente apro il portone, piove... piove. Accidenti ma in questa città piove sempre. Miracolo ho smosso il pensiero. Tutto dura un istante, l'istante necessario per varcare la soglia.
Salgo le scale, ma quale scale salgo? Non avevo mai notato che ci fossero, le avranno messe da poco. Tre giri alla serratura: poggio un fagottino sul tavolo senza accendere la luce. Non avrebbe senso accenderla se di lei conosco ogni sfumatura. Qualcosa accendo o almeno credo di farlo.
Le onde del micro fanno il proprio dovere. Pomodori spiaccicati su un letto di farina lievitata l'ideale per assaporare in pieno quel gusto aspro e piccante della fuggevolezza della vita.
Butto il piumino sul letto; o meglio una rete e un materasso mi vengono incontro cordialmente dandomi il benvenuto e chiedendomi cordialmente e amichevolmente di appoggiare su di loro
qualche escrescenza di me che non ha necessità di abitare indosso ulteriormente. Devo ammettere che questo atteggiamento è quello che amo di più, è quella sana esplosione di fedeltà incondizionatamente incondizionata.
Faccio un fischio, un gregge di pecore stampato su stoffa di caldo cotone mi si avventa e mi avvolge con coccole che mi turbano ma che adoro ricevere, visto il mio proverbiale edonismo personale. Con uno schiocco di dita metto in riga un paio di ciabatte, ammetto di trattarle male
ma ho con loro quel rapporto confidenziale che ti permette di superare il limite della buona educazione.
Un suono a mo di trillo mi scuote: il forno ha terminato il percorso che porta dall'essere congelato a quel dirompente grado di calore che ti fa amare il tuo stato di uomo con uno stomaco non pensante ma gaudente e prepotentemente spudorato.
Metto in funzione l'apparato formato da un qualcosa che ha la parvenza di una formazione di calcio e nella goduria del palato abbandono il senso del nonsenso.
Differenzio per non essere incivile: plastica nel bidone giallo e cartone nel... Ma dov'è il posto del cartone? Un vero giallo a quest'ora della notte. Diverso, forse perverso, talmente perverso da farmi sentire il nemico peggiore che un impianto d'incenerimento possa avere.
Nel silenzio, uno sprazzo di spruzzo di doppio malto si stampa sulle mie labbra: queste effusioni esaltano il mio gusto estremo del luppolo, un gusto corposo per ringiovanire un corpo assente di sostanza.
Notte, spenta negli occhi, accesa nell'apatia d'una giornata trascorsa e non vissuta.
Dondolano le chiavi dalla tasca. Lo scooter mi guarda con aria esterrefatta, forse vorrebbe chiedermi perché lo lascio solo lì, appoggiato a quel marciapiede insulso.
I passi si susseguono inseguendosi a memoria: conoscono la strada.
Desueta abitudine o consuetudine, non saprei dirvi; so solo che è notte, almeno credo se il senso del non senso ha ancora un senso in questa mia vita fatta di controsensi.
Cerco la toppa o le chiavi non distinguendo il grado di utilità dell'una rispetto alle altre.
Penso: dovrei rimettere a posto la mia connessione neuronica per stabilire la consecutio temporis del mio agire. Ho i file in stand by ma l'essere uso alla consuetudine mi aiuta ad agire senza agire.
Finalmente apro il portone, piove... piove. Accidenti ma in questa città piove sempre. Miracolo ho smosso il pensiero. Tutto dura un istante, l'istante necessario per varcare la soglia.
Salgo le scale, ma quale scale salgo? Non avevo mai notato che ci fossero, le avranno messe da poco. Tre giri alla serratura: poggio un fagottino sul tavolo senza accendere la luce. Non avrebbe senso accenderla se di lei conosco ogni sfumatura. Qualcosa accendo o almeno credo di farlo.
Le onde del micro fanno il proprio dovere. Pomodori spiaccicati su un letto di farina lievitata l'ideale per assaporare in pieno quel gusto aspro e piccante della fuggevolezza della vita.
Butto il piumino sul letto; o meglio una rete e un materasso mi vengono incontro cordialmente dandomi il benvenuto e chiedendomi cordialmente e amichevolmente di appoggiare su di loro
qualche escrescenza di me che non ha necessità di abitare indosso ulteriormente. Devo ammettere che questo atteggiamento è quello che amo di più, è quella sana esplosione di fedeltà incondizionatamente incondizionata.
Faccio un fischio, un gregge di pecore stampato su stoffa di caldo cotone mi si avventa e mi avvolge con coccole che mi turbano ma che adoro ricevere, visto il mio proverbiale edonismo personale. Con uno schiocco di dita metto in riga un paio di ciabatte, ammetto di trattarle male
ma ho con loro quel rapporto confidenziale che ti permette di superare il limite della buona educazione.
Un suono a mo di trillo mi scuote: il forno ha terminato il percorso che porta dall'essere congelato a quel dirompente grado di calore che ti fa amare il tuo stato di uomo con uno stomaco non pensante ma gaudente e prepotentemente spudorato.
Metto in funzione l'apparato formato da un qualcosa che ha la parvenza di una formazione di calcio e nella goduria del palato abbandono il senso del nonsenso.
Differenzio per non essere incivile: plastica nel bidone giallo e cartone nel... Ma dov'è il posto del cartone? Un vero giallo a quest'ora della notte. Diverso, forse perverso, talmente perverso da farmi sentire il nemico peggiore che un impianto d'incenerimento possa avere.
Nel silenzio, uno sprazzo di spruzzo di doppio malto si stampa sulle mie labbra: queste effusioni esaltano il mio gusto estremo del luppolo, un gusto corposo per ringiovanire un corpo assente di sostanza.