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Vita, morte e miracoli di un abito da sposa

3 partecipanti

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Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

Vita morte e miracoli di un vestito da sposa

Il vestito da sposa giaceva estenuato sul letto. Era sporco e strapazzato ed un lembo di orlo pendeva tristemente da un lato.
La sposa aveva ballato e ballato fino a che le si erano sciolti i capelli e il mazzolino di rose canine si era ridotto a quattro torsoli avvizziti. Poi lo sposo l’aveva strappata alla canea degli invitati brilli e l’aveva trascinata fino all’albergo dove avrebbero consumato quell’altro vino della loro prima notte.
Il vestito era figlio di una pezza di raso bianco, acquistata per pochi soldi su di una bancarella di mercato, e di un ago veloce che andava allegramente di buco in buco. Era anche figlio di dieci dita affusolate che appartenevano alle mani stanche di una madre povera a buona. Era nato di notte sulle ginocchia di quella stessa madre, mentre le falene vorticavano intorno al fascio di luce di una lampada da tavolo.
La madre aveva guardato a lungo le pagine di una rivista per giovani spose e poi le aveva buttate via, facendo di testa propria.
Lavorava di notte perché il giorno serviva per guadagnare il pane alla fabbrica. Non aveva marito che provvedesse a lei né amanti.
Lavorava con vigore e passione fino a che la finestra inquadrava il cielo che si schiariva e i primi voli di rondini. Allora deponeva il fagotto avvolto in un lenzuolo nell’armadio della sua stanza e si sdraiava sul letto, vestita, per dormire un paio d’ore, prima che la sveglia la facesse saltare su, con il cuore in gola ed i nervi già tesi al punto giusto per sostenere il peso della giornata lunga, calda e faticosa. Le piaceva accompagnare l’ago con pensieri dolci e ricordi e sogni.
Il ricordo, ad esempio, di quando la bambina si era annunciata e quella gioia immensa ed improvvisa ( come? Proprio a lei? Così giovane, così indegna, così disprezzabile….Come ? Il suo corpo così ancora vago e indefinito diventare sede, tempio, di un evento tanto maestoso….Lei madre? ) E quella gioia era stata spenta come una luce di candela che viene mozzata alla radice da un alito gelido che soffia la sua crudele indifferenza.
“Vai ad abortire” le aveva detto lui, leggero, come se si fosse trattato di buttare tra le immondizie un fiore appassito. E aveva aggiunto: “ Che te ne fai tu di un figlio alla tua età?”
Così aveva detto: “ tu” non “noi”.
Ma un’altra cattiveria no , non l’aveva aggiunta perché lei gli aveva girato le spalle per sempre. Aveva preso su il suo destino e aveva chiuso la porta dietro di sé.
Ormai “noi “ erano lei e il figlio che le pulsava nel ventre. Lui avrebbe fatto l’ “io” e il “tu” da qualche altra parte, con qualche altra povera ragazza ingenua e sciocca come lei. Da quel giorno, lei aveva cominciato a parlare alla sua bambina e non aveva smesso mai.
E quell’altro ricordo della nascita: il grido suo animalesco che chiedeva pietà al Cielo per il dolore che provava, insieme al grido di piccola, tenera voce che chiedeva aria, non più sangue ma aria per vivere tra i nati di donna. Insieme avevano urlato lei e la piccola, in quella stanza bianca, dove la luce entrava a fiotti per illuminare lo spettacolo più grande del mondo: Due gambe di donna tremanti e spalancate sul fiume della vita: sangue, urina, liquido amniotico e voglia di vivere, bisogno di vivere, comando di vivere.
Tutto ciò doveva fare parte del vestito, intriderlo e farlo sfavillare. E poi bisognava incorporarvi i fiori, i tanti fiori della sua esistenza: il mazzolino di margherite bianche dal cuore d’oro che il suo giovane padre, precocemente nonno, aveva deposto, con mossa goffa, pudica e reticente, ai piedi del suo letto, per dire sì alla bambina giunta per sbaglio e all’improvviso a sconvolgere il loro tram tram.
E poi, e poi, quell’unica rosa rossa che un ragazzo le aveva portato all’uscita della fabbrica per significarle che quella loro amicizia, fatta di gelati consumati insieme, strada facendo, e di chiaccherate allegre, era un’altra cosa, almeno per lui.
E quel giglio, bianco innocenza, che il suo angelo estasiato, teneva tra le mani giunte mentre saliva all’altare, dolce tra le dolci, bella tra le belle, per incontrare la sua prima Ostia, con il cuoricino che batteva a mille e gli occhi smarriti che la cercavano tra la folla delle madri ad ala.
E i crisantemi che lei e la bimba avevano gettato sulla bara del giovane nonno stroncato prima che potesse pilotare le adorate figlie verso un avvenire sicuro.
Petali, corolle, steli, stami e spine, dentro tutto!
Lacrime, sorrisi, pene, gioie. Piccole bufere casalinghe. Baci, abbracci, maledizioni, riappacificazioni. Dentro tutto! Tra punto e punto.
Come un arazzo imprigiona il tempo tra le sue fila, ordito e trama, trattiene l’attimo e lo invia ai posteri, così quell’abito doveva contenere tutto il passato della giovane sposa, in un modo non concreto ma di quella particolare sottospecie della realtà che è la magia.

E un giorno, infine, quando gli occhi della madre erano rossi e scuro il cerchio che li circondava, l’abito fu pronto.
La madre lo espose, per una notte, ai raggi della luna perché se ne inargentasse. Infine, lo contemplò soddisfatta e felice: era stata una brava sarta, una brava madre e una brava maga.
+++

“Giurami” disse la sposa, accoccolata sulle ginocchia del marito, “giurami che mi amerai sempre come mi ami oggi e che non mi tradirai mai. Giuralo davanti a questo vestito da sposa”
“Giuro che ti amerò sempre di più e che sarai la sola donna della mia vita. Lo giuro davanti a questo abito bianco e meraviglioso che è il simbolo del nostro amore”

Al ritorno dal viaggio di nozze, il vestito venne ricoperto da un panno bianco e poi appeso, piegato in due, in un armadio nuovo, ancora odoroso di colla da falegname e lì stette silenzioso e inutile, per tanti anni. Vedeva gli altri abiti uscire e rientrare nell’armadio e portare dentro gli odori delle stagioni che mutavano: odori lievi o penetranti che s’arrampicavano sulle pareti fino a che l’odore di naftalina non li annegava nel proprio mare.
Ma un giorno (era autunno e il cielo piangeva le sue lacrime fuligginose, richiamando i lombrichi dal ventre della terra) la porta dell ’armadio si spalancò come per un vento d’uragano. E apparve sulla soglia una Medusa irata, con i capelli neri a serpe e gli occhi luciferini. Brandiva una forbice dalle lame lucenti che s'aprivano e chiudevano nel vuoto come mandibole feroci, assetate di preda.
I vestiti si fecero piccoli, piccoli sulle loro grucce. L’abito da sposa, piegato in due, attendeva il suo destino.
La Medusa irata lo estrasse dal suo rifugio. Lo stese sul letto e gli infilò le forbici alla gola gridando: “Maledetto il giorno!”
Il lungo taglio verticale si fece rosso vivo, come per sangue che zampillasse da un’arteria recisa.
Restò a bocca spalancata, con le forbici divaricate nella mano destra. Per tutta la notte aveva cavalcato il cavallo pazzo della sua gelosia, attraversando paesaggi foschi dove la linea di confine tra la veglia ed i sonno era sparita. L’Infame Traditore teneva la Circe Ossigenata sulle ginocchia e se ne cibava. Tra i baci e i morsi la cicciotottella rideva e rideva, mostrando denti perlacei e puntuti. Un’opaca libidine rossa le inzuppava le vesti appiccicandogliele al corpo lubrico e schifoso.
Accanto a lei l’Infame dormiva placido ed innocente come un bambino.
Che fare? Dio mio che fare? Suicidarsi, lasciarlo o ucciderlo? Quest’ultima soluzione le era apparsa la più soddisfacente: l’unica veramente capace di lavare a fondo l’onta subita, l’oltraggio supremo.
Ma, mentre di notte, tra il lusco ed il brusco, la cosa le era apparsa fattibile, anzi desiderabile, alla luce del primo sole, quando la tazzina di caffè che il marito aveva posato come sempre sul comodino, aveva diffuso l’odor di mattina per tutta la stanza, ecco ,allora, non era stato più possibile neppure pensarci.
Il Verme, facendole una carezza, le aveva chiesto: “Che hai cara?” Mi sembri strana!
Lei si era sottratta a quelle mani che…… e aveva risposto: “Nulla” e poi, intingendo la lingua nel veleno: “Vai in Ufficio? Divertiti!”.
Lui era uscito, perplesso, lasciandosi alle spalle, senza saperlo, le ceneri del proprio matrimonio. E tutto per una innocua pacca su di un sederotto puntato verso il soffitto, una pacca data, più che altro, per mantenere buoni i rapporti interaziendali ma caduta nel momento più inopportuno…….
L’assassina di abiti da sposa si accasciò sul letto: l’ira si era dissolta. Provava rimorso, vergogna e tanta voglia di piangere. Accarezzò con dolcezza il bell’abito ferito. E allora la stanza fu invasa da un grande profumo di fiori: margherite, rose, gigli e crisantemi. Come da un incensiere uscivano gli effluvi dal vestito e salivano verso il soffitto insieme ai ricordi del passato, materializzati in immagini dolci e tenere
“Dio mio! Quanto sono stata sciocca! Era solo una pacca, una semplice, volgare, innocua pacca da culo!”

Genoveffa Frau

Genoveffa Frau
Master of Horse
Master of Horse

Per fortuna la donna ha riflettuto e non ha distrutto il suo matrimonio per un attacco di gelosia, il povero abito potrà essere ricucito, sarebbe stato più complicato ricucire un rapporto distrutto impulsivamente.
Al giorno d'oggi si fa presto, basta una piccola sciocchezza a distruggere un matrimonio.
Bello, fa riflettere!

Giancarlo Gravili

Giancarlo Gravili
Admin Master & Commander
Admin Master & Commander

È una storia che sembra rincorrersi da generazioni di storie e quasi un 'albero genealogico che racconta le vicende delle generazioni stesse, vicende che hanno ognuna una grande valenza, ognuna una storia profonda da raccontare, da tramandare e ogni singolo tassello che è cardine delle storie deve essere connotato con ogni argomentazione e immagine così da accellerare l'enfasi interiore del lettore.
Tutto si snoda nei rapporti e nel valore che si dà all'amore e al rapporto con la vita. I gesti divengono tratti e le emozioni colori. Ecco si snoda la vita tra presente e passato e in quel libro le cui pagine si aprono si scopre che a volte la rabbia può annagare ogni cosa e magari l'umiltà del perdono o megliò l'umiltà di comprendere se stessi deve avere la meglio sulle occasioni che tagliano in due i comportamenti e a volte certe occasioni non dipendono nemmeno da volontà epresse. La nota finala del raziocinio che prevale sull'istinto connota in pieno ogni scritto della bravissima autrice.



Ultima modifica di Giancarlo Gravili il Gio Ott 07, 2021 12:37 pm - modificato 1 volta.

A Licia piace questo messaggio.

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Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

Che fior di commento Gian! Vale più il commento che il racconto!

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