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Ricordi di una Roma lontana

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1Ricordi di una Roma lontana Empty Ricordi di una Roma lontana Gio Feb 11, 2021 4:09 pm

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Ricordi di una Roma lontana



Paolo si faceva largo nella calca di via del Corso con il distaccato mutismo della solitudine, quando improvvisamente se la trovò davanti.
In un primo istante dubitò potesse trattarsi di Emma, la piccola Emma Puglisi, la sua cara Emma e per un lungo momento restò dubbioso se disturbarla, farsi riconoscere, magari rischiando di fare una brutta figura.
Erano trascorsi dodici anni da quando lei aveva lasciato il loro quartiere ed ora, forse, avrebbe potuto non ricordarsi di lui.

– Ma si! – Si disse sollecitato dal risveglio di un sogno smarrito nei ricordi lontani e dalla gioia di ritrovare quel voto amato.
Fu un attimo e quasi con un grido, la chiamò:
– Emma! Ehi piccola!

La ragazza arrestò il suo lento incedere trasalendo, sollevò lo sguardo su di lui e dopo un comprensibile attimo di esitazione, il suo volto s’illuminò di uno splendido sorriso.
– Paolo…– Sussurrò quasi senza voce mostrando il volto improvvisamente imporporato
Si strinsero la mano senza dirsi una sola parola, come se quel semplice contatto fosse stato capace di un'unione completa e diretta tra le loro menti.

#

L’aveva conosciuta quando lui era ancora un ragazzaccio pronto a litigare con chiunque e per qualsiasi ragione, e si era innamorato di lei, la piccola, fragile e bellissima Emma.
Da allora era diventato il suo devoto compagno di classe, di gite e di giochi.

In quegli anni avevano entrambi più o meno undici o dodici anni. Lui indossava pantaloni corti dai quali sbucavano due gambette lunghe e magre coperte appena di una scura peluria, mentre lei, Emma, era una bambolina piccina piccina, morbida come il petto di un passerotto, fragile come porcellana e bianca come il latte.

Lei, pur essendo così deliziosamente attraente, non aveva veri amici e questo probabilmente accadeva a causa di un padre che, se non proprio despota, era talmente autoritario da porre tutti i suoi coetanei in una condizione di massima soggezione.
Di conseguenza accadeva, assai spesso, di notarla aggirarsi tutta sola soletta a spasso per il quartiere.

Sebbene Emma non fosse di statura molto alta, il suo incedere leggero, simile al passo di una gazzella, dava l’impressione che i suoi piedi sfiorassero appena l’asfalto.
Non così si poteva dire per il tono della sua voce; d’un timbro deciso che palesava un caratterino niente male.
Anche i loro gusti musicali andavano in perfetta armonia, e particolarmente per una canzone che in quei tempi era molto di moda «T'ho vista piangere»

Di solito vestiva con molta cura, i suoi abiti, pur restando a lungo gli stessi, erano sempre in perfetto ordine. Non aveva preferenze particolari, tranne che per un cappotto di lana scura con il collo di pelliccia, che la faceva rassomigliare ad un gattino.
In classe lui la spiava continuamente cercando il suo sguardo dolce e carezzevole.
Quando c'era compito in classe e la professoressa di latino, la signora Fortini, si divertiva a spostare di banco tutti i ragazzi, lui cercava sempre di sederle accanto; un po’ per avere la possibilità d’inebriarsi del profumo che sprigionava il suo corpo acerbo e, perché no, anche per poter copiare.

Lui non era mai stato una cima nello studio, mentre lei era intelligente, volonterosa e attenta.
In quei momenti, quando con ingenua malizia e con uno spaventato sorriso sul volto lei gli sussurrava le frasi che lui non sapeva tradurre, accadeva sempre che lui se ne restasse smarrito ad osservarla senza scrivere.
– Smettila di guardarmi e scrivi stupido! – Sussurrava lei per vincere la confusione che le provocavano quegli sguardi.

La domenica Paolo andava a messa solo per lei, per vederla.
Scivolava tra i banchi e le seggiole fino a raggiungere un posto dove potesse facilmente osservarla e spesso buscandosi qualche scappellotto dal buon don Pietro che gironzolava tra i banchi.
A volte si smarriva talmente in quelle contemplazioni che non sentiva nemmeno il trillo del campanello all'elevazione, rimanendosene ritto impalato mentre tutti s'inginocchiavano.
Allora una vampata di rossore gli accendeva il volto sebbene si sentisse felice di aver, sia pure in quel modo, attirato su di se l'attenzione di Emma.
A sera, rincantucciato nel calduccio delle coperte, non aveva sogni che per lei. Sogni ingenui e puri di fanciullo che iniziava allora a scoprire sentimenti nuovi che suscitavano turbamenti ancora incomprensibili, ma assolutamente piacevoli.

Rimasero per lungo tempo amici veri; di quelli che si scambiano le colazioni, i fumetti e tutte quelle piccole e innocenti confessioni che appartengono all’età più bella della nostra esistenza.

Il tempo trascorse lentamente, come se, divenuto loro complice, non volesse bruciare troppo velocemente le tappe della loro vita, ma depositando giorno dopo giorno nei loro cuori, il primo velo affettuoso di quel sentimento chiamato amore, ma poi, senza alcun segno di preavviso, venne l'anno in cui, dopo le vacanze estive, Emma non tornò più a scuola e il suo posto rimase vuoto.
Fu l’anno in cui a Paolo fu concesso indossare i primi pantaloni lunghi.

Dopo la disperazione dei primi giorni subentrò, con la malinconia, l’accettazione del posto vuoto e pian piano quel dolore che lo aveva reso scontroso con tutti, si dissolse nella rassegnazione delle lunghe ricerche infruttuose.
La domenica non andava più alla messa, dormiva fino a tardi e la sera il sonno lo vinceva non appena posava la testa sul morbido guanciale.

A poco a poco l’immagine di Emma divenne il ricordo buono, bello e pulito della sua vita. In silenzio, come in silenzio trascorse la sua fanciullezza in quella grande piazza del Risorgimento, egli visse la sua vita riconducendo, di tanto in tanto, alla mente quella beata serenità dei giorni trascorsi in compagnia della soave fragilità della cara e amata Emma.

#

Ed ecco che inaspettatamente Emma era tornata.

Della sua passata immagine, quella che Paolo aveva impressa a fuoco nel cuore, non vi era più nulla e sebbene le fosse rimasto sul bel visino di bambola lo stesso velo bianco di una volta; ora il suo corpo morbido e flessuoso, pur conservando la stessa inconfondibile fragilità del petto di un passerotto, gli dava l’impressione di qualcosa di estraneo, qualcosa che non era più suo.

Ora negli occhi di Emma vi era una luce nuova ed anche la bocca, che una capricciosa e amara piega le conferiva un istante di mistero, sembrava aver perso la voglia del suo armonioso sorriso.
Perfino seguendo il percorso di quella vena azzurra, che partendo dall’angolo delle labbra le percorreva ancora il bel collo diafano e sottile, sembrava ora perdersi nelle linee rotonde del seno mostrando un'altra donna a lui sconosciuta.

Però non fu difficile per loro riannodare in parte quella spontaneità che si era interrotta molti anni prima, poiché sostenuti dai ricordi della lontana fanciullezza, tornarono ad essere nuovamente amici e a trascorrere molte ore assieme, quelle serali, quando seduti sul muretto che chiudeva il gruppo di palazzi in cui abitavano, si raccontavano delle loro trascorse esperienze.

Dopo un primo entusiasmante periodo di frequentazione assieme ad altri amici, Paolo si accorse che il suo sentimento per Emma non era mutato e che in fondo neppure in lei era cambiato, giacché pur mostrando d’essere una donna forte e decisa, nei momenti in cui erano soli lei si lasciava andare poggiando il capo sulla sua spalla come nei primi anni delle medie.

Trascorsero così i primi mesi di una ritrovata amicizia che giovò ad entrambi, fin quando Paolo apprese, dai soliti bene informati tutori della morale, che Emma aveva un passato non del tutto chiaro e impeccabile.

Della sua vita trascorsa lui aveva preferito non chiederle nulla, ma nel quartiere, le solite lingue cattive, avevano provveduto a mettere in giro maldicenze ed episodi non certo edificanti ai quali egli non volle prestare ascolto.
Ovviamente a lungo andare ciò condusse l’animo di Paolo verso quella tristezza e contenuta rabbia che prende il bimbo quando vede in mano ad altri il suo giocattolo preferito e che non appena gli riesce di afferrarlo lo distrugge.

Rimpianto, gelosia, vanità, orgoglio e impreparazione bussarono al suo cuore obbligandolo a vivere un periodo di forte depressione.

A risolvere la situazione intervenne l’impegno nello studio che lo allontanò per un lungo periodo da Roma e da Emma.

L’anno successivo Paolo tornò a Roma con una laurea in tasca, e per un lungo periodo fece quanto gli fu possibile per evitare d’incontrarla, ma non si comanda al destino e una sera lui non poté sfuggirla.

Nell'avvicinarlo, con lo squisito intuito della sua anima femminile, Emma intuì che lui era profondamente cambiato nei suoi confronti e fu presa da una invincibile trepidazione che le deformò, in una smorfietta amara, il nascente sorriso.
– Ciao! – Sussurrò lei osservandolo attentamente
Lui non rispose, annuì soltanto mostrando disinteresse.
– È da un po’ che non ti si vede in giro. – proseguì lei – Da quando sei tornato non fai altro che evitarmi. Cos’è accaduto, ce l’hai con me?

La risposta di Paolo, che giunse fredda e sgarbata, le scese nell'anima come aculei, ed ella, presa dalla paura, non seppe reagire.
In silenzio si voltò e si allontanò tentando di frenare le lacrime che già le brillavano negli occhi.
Paolo, comprendendo di averla ferita, la inseguì prendendola bruscamente per un braccio.
Emma cercò di divincolarsi per fuggire, ma inciampò e sarebbe caduta se lui non l'avesse sostenuta afferrandola per la vita.

In quell'istante, nella luce di un lampione, Paolo incontrò il suo sguardo velato di lacrime e fu allora che, sentendo il corpo di lei percorso da brividi di paura, in un'improvvisa ondata di tenerezza la strinse a se fino a sentirne il battito del cuore sul suo.

Le stelle, immote nella calma profondità del cielo, brillavano come le lacrime che lentamente scivolavano sulle gote di Emma.
Lui sfiorò quelle gote umide di pianto con un casto bacio, poi la prese delicatamente con un braccio attorno alle spalle e stringendola a se la invitò a seguirlo verso il loro muretto.
Emma le strinse con forza la mano abbandonandosi ad un sorriso che contrastava con le lacrime ancora pendenti dalle ciglia come due gocce d'acqua.

Più tardi, quando la tempesta nei loro cuori si placò, Emma si confessò a lui come per un bisogno di purificazione:
– Non voglio mentirti, mi sei troppo caro e se fino ad ora non ti ho detto nulla della mia vita è stato soltanto perché non volevo ferirti. Ciò che ti hanno riferito di me è in parte vero, ma hanno potuto raccontarti soltanto la parte conosciuta, non ti hanno detto della mia disperazione quando morì mia madre. Tu sai quanto amassi la mamma e fin quando lei rimase viva, anche se inferma e costretta in un letto, la mia anima viveva serena, racchiusa nell'involucro dei beati sogni dell’adolescenza. Poi anche il babbo perse la vita sotto i bombardamenti e in un attimo mi trovai sola, ignara di tutto, costretta ad affrontare da un giorno all'altro il problema di una esistenza ignota. Sapessi come lacera l'anima la disperazione della miseria. Ma più della miseria addolora la triste ironia della gente che tutto è disposta a concedere ad una donna soltanto se si offre come femmina. Sapessi come avvilisce la spudoratezza dello sguardo che ti spoglia! Non avevo più nessuno a cui chiedere aiuto e così caddi di delusione in delusione fin quando l’amore di un uomo mi aiutò a ritrovare la fiducia nella vita. Mi abbandonai a quel sentimento con tutte le forze; come un naufrago si aggrappa ad uno spuntone di roccia affiorante tra le onde in tempesta. Era un magnifico ragazzo, leale, serio, amante della vita. Ci sposammo e due giorni dopo rimasi nuovamente sola, la guerra me lo portò via. Passarono i mesi ed io ricaddi nuovamente in balia delle onde; vivevo solo con speranza, tenue come un'illusione, di un suo ritorno ma Dio non aveva scelto la felicità per me, poiché un maledetto giorno mi fu comunicato che era da considerarsi disperso, il suo aereo era caduto in mare durante un’azione su Malta. Con lui precipitai anch’io, poiché l'amore che doveva essere il mio scudo divenne per gli altri una breccia.

Emma cessò di parlare, sollevò gli occhi e guardando Paolo scosse lievemente il capo sussurrando – Scusami, non volevo rattristarti con i miei problemi
Tra i suoi capelli la luce lunare rideva tremolante tra il frusciare delle foglie dei tigli.

Da quella sera Paolo la rivide ogni giorno. Nulla più turbava la franca serenità della loro amicizia.
Emma era tornata ad essere il trepido passerotto morbido e fragile e al calore puro di quella amicizia sembrava essersi purificata e rinascere.
La sua voce stava, pian piano, riacquistando i toni argentini della gioia spontanea di quand’era bambina. Nel suo sguardo ora brillava la luce profonda della pace.
Anche la flessuosità della sua personcina sottile era tornata ad esprimere, in tutte le movenze, la grazia ingenua di una gazzella.

Poi, improvvisamente Paolo ricevette la cartolina di precetto, richiamato in servizio militare e dopo soltanto un mese, una sera, alla luce di tremule stelle, ebbero appena tempo di abbracciarsi in un rapido saluto prima che il treno lasciasse la stazione Ostiense.
Un solo bacio, casto e leggero sulle labbra di lui e una promessa di lei.
– Non accadrà più. Mai più nessuno mi avrà, te lo giuro. Piuttosto mi uccido!

La guerra portò Paolo lontano, verso un’esistenza pericolosa che gli mortificò la carne, gli gelò il cuore nella lunga e perfetta inquietudine di un'esistenza ove l'unica fede era la speranza di tornare da Emma.
Il suo ricordo fu la luce riaffiorante nel cupo silenzio saturo di quel mistero che grava ansioso sui campi di battaglia.
La Russia, il gelo, l'orrore della guerra li separarono sia fisicamente che mentalmente. Per alcuni mesi ricevette sporadiche notizie dall'Italia, poi, quando le cose peggiorarono, perse ogni contatto e da allora i suoi giorni furono segnati soltanto dal nome delle battaglie.
Fu ferito in modo grave, ma questa fu la sua salvezza giacché nel Settembre del 1942 fu trasferito a Tarvisio.
Quattro mesi più tardi, quando rientrò a Roma, fu dapprima internato in ospedale e una settimana più tardi fu spedito a casa. Qui ritrovò alcuni degli amici e l’affetto dei suoi, di Emma, invece, nessuno seppe dargli notizie, era nuovamente scomparsa.
Il secondo giorno del suo rientro a casa, sua madre le portò nella stanza una grande quantità di vecchi giornali e mentre li sfogliava con la curiosità distratta del lettore indifferente, gli cadde sotto gli occhi una notizia di cronaca che attirò irresistibilmente la sua attenzione.
Con la fretta di un’inspiegabile ansia lesse a sbalzi l’articolo
«...in viale Regina Margherita, forse per un malore o forse per un’imprudente distrazione, Emma Puglisi, una giovane infermiera che stava recandosi al lavoro presso il Policlinico Umberto I°, è rimasta orribilmente uccisa dal tram».
Il silenzio nella stanza si fece improvvisamente sottile e penetrante. Un’ondata calda di sangue gli gonfiò le tempie; uno spasimo lancinante gli serpeggiò nel petto, mentre un nodo doloroso gli soffocò la gola.
Un incontrollabile desiderio di pianto suscitò in lui la voglia di urlare.
E come in cerca d’aria discese dal letto guardando oltre la finestra spalancata sul buio e mentre la calma profonda della natura faceva rabbrividire di pauroso mistero, un sordo brontolare ritmato di tuono parve voler fondere il silenzio al suo dolore.
Udì la propria voce sussurrare tra i singhiozzi.
– Scusami piccola, è colpa mia ma tu non dovevi, non dovevi lasciarmi, ora cosa faccio senza te?

In quel momento un lampo squarciò l’orizzonte seguito subito da un altro e infine un dirompente assordante fragore fugò la calma, lasciando solo le timorose stelle a riproporre alla sua mente una lontana promessa di morte «…piuttosto mi uccido!»

2Ricordi di una Roma lontana Empty Re: Ricordi di una Roma lontana Gio Feb 11, 2021 5:04 pm

Licia

Licia
Mamma Orsa
Mamma Orsa

Quindi si è suicidata?Che triste delicata tenera storia!

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