DIALOGO SERALE
Il tramonto le trovò, come tutte le sere, vicine una all’altra, sedute sul morbido divano del soggiorno della Casa di Riposo, ultima dimora della loro vita.
Parlavano a bassa voce per non disturbare il sonno delle altre, assopite con la testa ciondolante, chi su di una sedia, chi su di una poltroncina. Il soggiorno aveva un’aria falsamente allegra e civettuola, fatta apposta per ingannare le future ospiti riluttanti, il giorno in cui facevano la visita pre-ricovero, accompagnate da un figlio o da una figlia. “Vieni mamma a vedere che bel soggiorno avrai. Ci sono pure gli uccellini, guarda, e il pesce rosso. Affacciati alla finestra. Vedi? Che giardino grande! Ti piacerà stare qui, sono sicuro. Beata te che ti puoi riposare ed essere servita in tutto. La retta è un po' cara ma per questo non ti devi preoccupare, pensiamo a tutto noi. Quando ci si vuole bene non esistono sacrifici”.
“Sì, sì, d’accordo” dicevano le poverine mentre il loro cuore indossava il lutto.
Pochi giorni dopo, arrivavano con la valigia che il figlio premuroso reggeva, dando loro l’altro braccio.
Le altre ospiti le guardavano con pena, rivivendo nel loro cuore il dolore di quel momento più meno lontano.
L’iter, da quel primo giorno alla morte, era segnato, con poche variabili individuali: un primo periodo di rabbiosa disperazione poi l’aquietamento favorito dagli abbondanti sedativi, quindi la cupa malinconia dei giorni tutti uguali, senza speranza, spesi ad attendere la Domenica per la visita dei parenti; poi la demenza galoppante che spegneva il dolore negli occhi ma anche la luce dell’intelligenza. Infine, pietosa, arrivava la morte a portare via quel poco che restava di una persona: quattro ossa in croce, un piccolo respiro da uccellino, qualche ricordo qua e là affiorante dal passato, due mani rattrappite, strette sul cuore, in un gesto ormai automatico ma non più necessario, di protezione.
Le nostre due amiche però costituivano un’eccezione e si erano mantenute integre nella persona fisica ancora dritta e dignitosa, nell’intelligenza viva e nell’anima, capace ancora di soffrire e di amare. Ciò era dovuto proprio alla profonda amicizia che le legava e che era stata la zattera alla quale si erano aggrappate.
Ognuna delle due conosceva così bene la vita dell’altra che le pareva di avere vissuto due vite. Così, se capitava che la memoria su qualche particolare facesse cilecca ad una delle due, l’altra l’aiutava: “No cara, non ti ricordi bene. Fu così che gli dicesti”
“Ah si! Che smemorata, hai ragione...”.
Erano talmente identificate l’una con l’altra, quasi fuse, che avevano pure gli stessi gusti a tavola; s’addormentavano e risvegliavano insieme, subito cercandosi con gli occhi.
Volendo esagerare solo un poco si potrebbe quasi dire che erano andate assomigliandosi, tanto che, spesso, venivano scambiate per sorelle, cosa che le mandava in solluchero.
Ma, tornando a quella sera, una disse all’altra: “Sai, penso a quando moriremo; se tu dovessi morire prima di me, non so come potrei restare qui, da sola, tra tutti questi cadaveri viventi”.
“Non dirlo a me che da un po' di tempo non faccio che pensarci alla sera, quando andiamo a letto; mi viene una paura, non di morire, ma di restare qui, senza di te, non potrei sopportarlo”
Dopo aver evocato questa triste situazione restarono in silenzio non trovando parole di conforto né per sé né per l’altra.
Poi una, esitando, con una voce strana, profonda, disse: “Un modo ci sarebbe di risolvere il problema”
“No, non dirlo” disse l’altra che in realtà ci aveva già pensato per prima. Altra pausa di silenzio.
“Se volessimo deciderci, un domani, potremmo cominciare a nascondere il sonnifero della sera. Quella delle due che rimarrà sola.....”
“Sì, potremmo”.
“Tu come ti senti?”
“Io bene, e tu?”
Risero insieme come due bambine che l’avevano detta grossa.
Venne l’infermiera della sera, quella nuova, antipatica: “Su, su ragazze a letto! Chi vuole il sonnifero con la camomilla?”
“Io no” disse la prima
“Io dormo lo stesso” disse la seconda.
“Queste due” commentò tra sé l’infermiera “diventeranno centenarie, si vede subito la stoffa”
Il tramonto le trovò, come tutte le sere, vicine una all’altra, sedute sul morbido divano del soggiorno della Casa di Riposo, ultima dimora della loro vita.
Parlavano a bassa voce per non disturbare il sonno delle altre, assopite con la testa ciondolante, chi su di una sedia, chi su di una poltroncina. Il soggiorno aveva un’aria falsamente allegra e civettuola, fatta apposta per ingannare le future ospiti riluttanti, il giorno in cui facevano la visita pre-ricovero, accompagnate da un figlio o da una figlia. “Vieni mamma a vedere che bel soggiorno avrai. Ci sono pure gli uccellini, guarda, e il pesce rosso. Affacciati alla finestra. Vedi? Che giardino grande! Ti piacerà stare qui, sono sicuro. Beata te che ti puoi riposare ed essere servita in tutto. La retta è un po' cara ma per questo non ti devi preoccupare, pensiamo a tutto noi. Quando ci si vuole bene non esistono sacrifici”.
“Sì, sì, d’accordo” dicevano le poverine mentre il loro cuore indossava il lutto.
Pochi giorni dopo, arrivavano con la valigia che il figlio premuroso reggeva, dando loro l’altro braccio.
Le altre ospiti le guardavano con pena, rivivendo nel loro cuore il dolore di quel momento più meno lontano.
L’iter, da quel primo giorno alla morte, era segnato, con poche variabili individuali: un primo periodo di rabbiosa disperazione poi l’aquietamento favorito dagli abbondanti sedativi, quindi la cupa malinconia dei giorni tutti uguali, senza speranza, spesi ad attendere la Domenica per la visita dei parenti; poi la demenza galoppante che spegneva il dolore negli occhi ma anche la luce dell’intelligenza. Infine, pietosa, arrivava la morte a portare via quel poco che restava di una persona: quattro ossa in croce, un piccolo respiro da uccellino, qualche ricordo qua e là affiorante dal passato, due mani rattrappite, strette sul cuore, in un gesto ormai automatico ma non più necessario, di protezione.
Le nostre due amiche però costituivano un’eccezione e si erano mantenute integre nella persona fisica ancora dritta e dignitosa, nell’intelligenza viva e nell’anima, capace ancora di soffrire e di amare. Ciò era dovuto proprio alla profonda amicizia che le legava e che era stata la zattera alla quale si erano aggrappate.
Ognuna delle due conosceva così bene la vita dell’altra che le pareva di avere vissuto due vite. Così, se capitava che la memoria su qualche particolare facesse cilecca ad una delle due, l’altra l’aiutava: “No cara, non ti ricordi bene. Fu così che gli dicesti”
“Ah si! Che smemorata, hai ragione...”.
Erano talmente identificate l’una con l’altra, quasi fuse, che avevano pure gli stessi gusti a tavola; s’addormentavano e risvegliavano insieme, subito cercandosi con gli occhi.
Volendo esagerare solo un poco si potrebbe quasi dire che erano andate assomigliandosi, tanto che, spesso, venivano scambiate per sorelle, cosa che le mandava in solluchero.
Ma, tornando a quella sera, una disse all’altra: “Sai, penso a quando moriremo; se tu dovessi morire prima di me, non so come potrei restare qui, da sola, tra tutti questi cadaveri viventi”.
“Non dirlo a me che da un po' di tempo non faccio che pensarci alla sera, quando andiamo a letto; mi viene una paura, non di morire, ma di restare qui, senza di te, non potrei sopportarlo”
Dopo aver evocato questa triste situazione restarono in silenzio non trovando parole di conforto né per sé né per l’altra.
Poi una, esitando, con una voce strana, profonda, disse: “Un modo ci sarebbe di risolvere il problema”
“No, non dirlo” disse l’altra che in realtà ci aveva già pensato per prima. Altra pausa di silenzio.
“Se volessimo deciderci, un domani, potremmo cominciare a nascondere il sonnifero della sera. Quella delle due che rimarrà sola.....”
“Sì, potremmo”.
“Tu come ti senti?”
“Io bene, e tu?”
Risero insieme come due bambine che l’avevano detta grossa.
Venne l’infermiera della sera, quella nuova, antipatica: “Su, su ragazze a letto! Chi vuole il sonnifero con la camomilla?”
“Io no” disse la prima
“Io dormo lo stesso” disse la seconda.
“Queste due” commentò tra sé l’infermiera “diventeranno centenarie, si vede subito la stoffa”