VOCI NEL VENTO
“Mi potrà qualcuno amare? Sono un essere infinitamente piccolo. Vivo aggrappato ad un fiore giallo e passeggio sul velluto del suo petalo. Su e giù, giù e su fino a sentirmi le zampine rotte. Sono nero e grigio e ho tante gambe.
Come mi chiamo? Non lo so, non mi chiama mai nessuno. Sono nato da un uovo piccolissimo e sono sempre stato solo. Mia madre mi ha lasciato cadere sul petalo del fiore e se ne è fuggita per deporre qua e là altre uova e creare altre solitudini. Che fare della mia inutile vita? Un giorno, un raggio più caldo di sole prosciugherà quella goccia di linfa che fa di me un vivente e nessuno saprà che sono esistito.”
“Non dire così, mio piccolo amico e non parlare di cose che non sai. Sono il tuo fiore giallo, il meraviglioso tappeto sul quale consumi le tue gocce di vita. Ho sentito il tuo lamento e ho pianto per te. Ma tu non sai...”
“Che cosa?”
“Che io ti invidio perché tu ti muovi mentre io sono qui imprigionato sul mo stelo e la terra tiene ferma la mia radice. Amo il sole che mi accarezza sui petali e mi fa splendere del suo stesso colore. Vorrei salire fino a lui e confondere il mio giallo con il suo ma questa Terra da cui sono nata mi tiene qui e aspetta, paziente, che io le renda il seme di un’altra vita. Mi sfalderò ben presto. Vedi? Già si arriccia il petalo più bello. Già mi inclino. Già il mio profumo sa di putredine e compare il fondo nero e sbrindellato del mio ventre.”
“Taci fiore, non parlare. Non affidare al vento i tuoi rimpianti. Tu sei bello e risplendi e hai nutrito il tuo insetto. Io ti invidio. Ma guarda alla mia sorte di sassolino grigio, inerte, vacuo. Non muoio come te perché non sono nato a meno che si chiami nascita quella martellata che mi ha fatto schizzare lontano dal grande sasso a cui appartenevo e che mi ha reso solitario e ancora più insignificante di quanto non fossi.”
“Anch’io”, disse una goccia d’acqua caduta in quel momento sul sassolino, “mi sono separata dalla nuvola e sono qui per pochi istanti, a luccicare per poi… morire”
Passò il vento e fece vibrare le foglie di un ontano.
“Che mi tocca sentire! Quante lamentele! E accontentatevi di esistere, ognuno nel proprio stato! Siete usciti dal Nulla. Non vi basta? Io raccolgo la vostra voce e la sparpaglio, la semino sui campi, sulle case degli uomini, sulle onde del mare, sui deserti e sulle montagne. Sarete voi a parlare con il mio vocione e ci saranno orecchie pronte a raccoglierle, lo giuro! Perché nessuno muore se qualcuno raccoglie la sua voce.”
“Mi potrà qualcuno amare? Sono un essere infinitamente piccolo. Vivo aggrappato ad un fiore giallo e passeggio sul velluto del suo petalo. Su e giù, giù e su fino a sentirmi le zampine rotte. Sono nero e grigio e ho tante gambe.
Come mi chiamo? Non lo so, non mi chiama mai nessuno. Sono nato da un uovo piccolissimo e sono sempre stato solo. Mia madre mi ha lasciato cadere sul petalo del fiore e se ne è fuggita per deporre qua e là altre uova e creare altre solitudini. Che fare della mia inutile vita? Un giorno, un raggio più caldo di sole prosciugherà quella goccia di linfa che fa di me un vivente e nessuno saprà che sono esistito.”
“Non dire così, mio piccolo amico e non parlare di cose che non sai. Sono il tuo fiore giallo, il meraviglioso tappeto sul quale consumi le tue gocce di vita. Ho sentito il tuo lamento e ho pianto per te. Ma tu non sai...”
“Che cosa?”
“Che io ti invidio perché tu ti muovi mentre io sono qui imprigionato sul mo stelo e la terra tiene ferma la mia radice. Amo il sole che mi accarezza sui petali e mi fa splendere del suo stesso colore. Vorrei salire fino a lui e confondere il mio giallo con il suo ma questa Terra da cui sono nata mi tiene qui e aspetta, paziente, che io le renda il seme di un’altra vita. Mi sfalderò ben presto. Vedi? Già si arriccia il petalo più bello. Già mi inclino. Già il mio profumo sa di putredine e compare il fondo nero e sbrindellato del mio ventre.”
“Taci fiore, non parlare. Non affidare al vento i tuoi rimpianti. Tu sei bello e risplendi e hai nutrito il tuo insetto. Io ti invidio. Ma guarda alla mia sorte di sassolino grigio, inerte, vacuo. Non muoio come te perché non sono nato a meno che si chiami nascita quella martellata che mi ha fatto schizzare lontano dal grande sasso a cui appartenevo e che mi ha reso solitario e ancora più insignificante di quanto non fossi.”
“Anch’io”, disse una goccia d’acqua caduta in quel momento sul sassolino, “mi sono separata dalla nuvola e sono qui per pochi istanti, a luccicare per poi… morire”
Passò il vento e fece vibrare le foglie di un ontano.
“Che mi tocca sentire! Quante lamentele! E accontentatevi di esistere, ognuno nel proprio stato! Siete usciti dal Nulla. Non vi basta? Io raccolgo la vostra voce e la sparpaglio, la semino sui campi, sulle case degli uomini, sulle onde del mare, sui deserti e sulle montagne. Sarete voi a parlare con il mio vocione e ci saranno orecchie pronte a raccoglierle, lo giuro! Perché nessuno muore se qualcuno raccoglie la sua voce.”